Settimana di passione per i cristiani perseguitati

La Settimana Santa, che ricorda la passione e la morte di Gesù Cristo, è una settimana di passione e, se non anche di morte, di angoscia per quelle comunità cristiane di varie parti del mondo, che sono vittime in questi mesi di crescenti persecuzioni, attentati, violenze, stupri e uccisioni, spesso attraverso decapitazioni. E tutto avviene nel silenzio omertoso e timoroso dell’Occidente, dei suoi leader politici, dei suoi giornalisti e, soprattutto di quelle anime belle “umanitarie”, che sono i chierici del politicamente corretto, sempre pronti a lanciare grida ed appelli e a ostentare le lacrime per analoghi – e non più gravi – orrori.

A vivere la Settimana Santa e la Pasqua imminente tra particolari timori sono soprattutto le comunità di diversi Paesi dell’Africa subsahariana, vittime di recente di una vera epidemia di attacchi mortali. Lì, infatti, si stanno spostando i combattenti dell’Isis, dopo la sua disfatta in Siria ed in Iraq, per dare manforte ai gruppi jihadisti africani, che da vari anni trovano nei cristiani locali le vittime sacrificali contro cui scatenare la loro guerra santa.

“La Pasqua, così come il Natale, sono tempi favorevoli agli attentati, perché i terroristi sanno bene che attaccarci adesso avrebbe una eco mediatica notevole” ha dichiarato il sacerdote Joseph Bature Fidelis, parroco di San Patrizio a Maiduguri, in Nigeria, dove negli ultimi tempi si è intensificata l’offensiva dell’organizzazione salafita terroristica Boko Haram, che vuole trasformare il nord della Nigeria in un Califfato. La stessa angoscia vivono i cristiani di altri Paesi africani.

La notizia – anche questa poco rilevata dai media europei – è che “il centro di gravità” dell’islamismo jihadista si è spostato dal Medio Oriente all’Africa. “Sette dei 10 Paesi con il maggiore aumento di terrorismo sono nell’Africa subsahariana: Burkina Faso, Mozambico, Congo, Mali, Niger, Camerun ed Etiopia, dove ci sono consistenti gruppi di fedeli cristiani” è scritto nel più recente report del Global terrorism index diffuso dalla Bbc.

In Mozambico, un Paese in maggioranza cristiano, sono ancora vive le immagini delle uccisioni, in prevalenza tramite decapitazioni, avvenute intorno al 20 marzo nelle strade delle città petrolifere di Palma e di Cabo Delgado ad opera di un gruppo terrorista legato all’Isis e chiamato al-Shabab (come quello somalo legato ad al-Qaida). Una madre di Cabo Delgado ha riferito, il 24 marzo, alla OngSave the children” di avere dovuto assistere impotente e disperata alla decapitazione di suo figlio di 12 anni: “Quando tutto è iniziato, ero a casa con i miei quattro figli. Abbiamo cercato di scappare nel bosco ma hanno preso mio figlio maggiore e lo hanno decapitato. Non abbiamo potuto fare nulla perché saremmo stati uccisi anche noi”.

Nella stessa provincia a maggioranza musulmana di Cabo Delgado, nel novembre scorso più di 50 cristiani furono decapitati al grido di “Allah è grande” e dal 2017 ad oggi sono stati uccisi oltre 2mila cristiani e 430mila sono stati costretti a fuggire. Nel Niger tre villaggi cristiani nella regione di Tahoua, al confine con il Mali il 24 marzo scorso sono state uccise 137 persone in un attacco, dopo che a gennaio un altro attacco aveva provocato 100 vittime. “Lo Stato Islamico nel Grande Sahara, un potente gruppo armato con legami sciolti con lo Stato Islamico, ha condotto attacchi sofisticati nelle regioni di confine del Mali, Niger e Burkina Faso”, ha scritto il New York Times. Pochi giorni fa, 58 civili sono stati massacrati nel paese dell’Africa occidentale.

In Congo ci sono stati 200 uccisi e 40mila sfollati in seguito ad attacchi degli islamisti dell’Adf in appena due mesi. Nel frattempo, continua in Medio Oriente la fuga dei cristiani dal terrore instaurato dai jihadisti. Nell’area di Idlib, nordovest della Siria, sono rimaste poco più di 210 famiglie, sparse in tre villaggi situati nella Valle dell’Oronte, Kanye, Yacoubieh e Gidaideh. Con loro sono rimasti solo due religiosi, il parroco di Kanye, Hanna Jallouf, e padre Louai Bsharat.

“Tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono fuggiti dopo la distruzione e il saccheggio di molte chiese e luoghi di culto da parte dei miliziani” dice padre Hanna, che fu rapito dai militanti di al-Nusra e poi liberato. Anche la loro sarà una Pasqua diversa. “Le nostre campane non possono suonare, non possiamo indossare il nostro saio per uscire, non possiamo avere croci sui campanili e immagini sacre esposte all’esterno, i nostri riti devono essere celebrati solo nel chiuso delle chiese”.

In Indonesia, il giorno della domenica delle Palme, un attentatore suicida si è fatto esplodere davanti alla cattedrale di Makassar causando il ferimento di decine di fedeli cristiani. Nel resto del mondo continuano da decenni persecuzioni e le uccisioni di cristiani. Secondo la Watch List 2021 dell’osservatorio Open doors International, tra il primo ottobre 2019 e il 30 settembre 2020, 340 milioni cristiani hanno sofferto qualche forma di persecuzione nel mondo, 4761 cristiani (13 al giorno) sono stati uccisi per ragioni legate alla loro religione, 1710 (4 al giorno) rapiti, 4277 (11 al giorno) sono stati messi in galera senza alcun processo. Nello stesso periodo sono state 4.448 (12 al giorno) le chiese e gli edifici religiosi attaccati o chiusi o distrutti da violenze anti-cristiane.

Eppure l’Occidente tace. Tacciono o voltano altrove lo sguardo i media e i leader occidentali. In particolare, colpisce il silenzio dei chierici del politicamente corretto sempre pronti a stracciarsi le vesti ed a scendere in piazza per ogni vittima di altre religioni e di altre culture, così hanno modo di colpevolizzare e attaccare l’Occidente (che è il loro vero obbiettivo). Per i cristiani africani e mediorientali quei chierici non spendono nemmeno una parola. Nessuna richiesta di intervento umanitario e nemmeno di un corridoio umanitario, come sono sempre pronti a chiedere per uomini e donne di altre culture e religioni. Nessuna denuncia della evidente e sanguinaria “cristianofobia” dilagante. Eppure essa è molto più diffusa nel mondo che la presunta e fantasmatica “islamofobia” in Europa, dove quei chierici vorrebbero farne addirittura un reato d’opinione.

Nessuna denuncia del genocidio dei cristiani in corso nel mondo. Nulla. Perché? Tacciono un po’ perché si tratta pur sempre di cristiani, benché africani o arabi (per i quali in generale sono sempre disposti a mobilitarsi “a prescindere”), e quindi – ai loro occhi – sono in qualche modo complici della “colpevole e corrotta” civiltà occidentale. Non è il cristianesimo la religione identitaria del perverso Occidente? Ma essi tacciono, soprattutto perché nel caso dei cristiani non occidentali, vittime di non occidentali, non si può colpevolizzare in alcun modo l’Occidente e gli occidentali. Dietro l’umanitarismo a senso unico dei chierici progressisti politicamente corretti si nasconde, infatti, la loro passione predominante, che non è affatto la compassione (una virtù cristiana), ma è l’odio primigenio per la propria civiltà, quella cristiana e liberale.

Tutto il resto è pura retorica e narcisismo da anime belle, che si dicono “umanitarie”. Tra queste è paradossale che vi siano prelati cattolici di vario livello; in particolare alcuni preti-giornalisti che hanno fatto carriera nella stampa vaticana, ignorando le persecuzioni dei cristiani nel mondo e negando le radici religiose di quelle persecuzioni. Anche in Vaticano esiste una filiera e una vera lobby, che vive di politicamente corretto.

Aggiornato il 02 aprile 2021 alle ore 10:57