La Convenzione di Istanbul calpestata da Erdogan

Recep Tayyip Erdogan, con un decreto presidenziale, ritira la Turchia dai tavoli della Convenzione di Istanbul. Il trattato internazionale fu adottato nel 2011, lo spirito era quello di obbligare i governi aderenti alla Convenzione a legiferare per reprimere la violenza domestica e di genere, inclusi lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili. L’abbandono da parte di Erdogan del tavolo internazionale era previsto, infatti già la scorsa estate il governo islamo-nazionalista aveva suscitato polemiche, quando annunciò che stava valutando la possibilità di ritirarsi dalla Convenzione.

Ha dichiarato Canan Güllü, presidente della Federazione turca delle associazioni femminili, che sperava che la mobilitazione promossa ad agosto di interi settori della società potesse bastare a fare riflettere il presidente sull’allontanamento da questa “sensibilità sociale” di respiro internazionale. È evidente che il crollo di popolarità di Erdogan – e le sconfitte politiche nelle ultime amministrative – lo hanno portato ad ascoltare i gruppi più conservatori e meno laici, con la speranza che un atteggiamento più rigido e oppressivo possa essere più assoggettante verso la popolazione. Così, nella notte tra venerdì e sabato, con un atto monocratico, Erdogan ha sancito, oltre che l’uscita dalla Convenzione, paradossalmente “di Istanbul”, un duro colpo per le donne turche sempre più vittime di violenze. I dati, sicuramente in difetto, rilevati dall’organizzazione femminista turca Stop Feminicides, stimano che, nel 2020, trecento donne sono state uccise dagli uomini in “ambito familiare o limitrofo”; a queste vanno aggiunte oltre cento donne che hanno perso la vita in condizioni di poca chiarezza; inoltre, Stop Feminicides ha registrato 77 omicidi di donne dall’inizio del 2021.

Le reazioni alla scelta del presidente turco sono state una serie di manifestazioni, che sabato hanno caratterizzato le piazze di Istanbul, di Ankara e di Izmir, dove migliaia di donne hanno protestato contro la decisione unilaterale del presidente turco, anche ampiamente condannata dai suoi partner tradizionali. Inoltre, il segretario generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric, ha parlato di una decisione “devastante”; come il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha affermato in un comunicato ufficiale: “Questo è un passo indietro estremamente scoraggiante per il movimento internazionale, che lotta contro la violenza verso le donne”. Anche Jean-Yves Le Drian, ministro degli Esteri francese, ha deplorato “un preoccupante calo dei diritti”.

Ricordo che i principi della Convenzione stabiliscono che gli uomini e le donne hanno uguali diritti, e obbligano i governi ad adottare misure per prevenire la violenza domestica contro le donne, proteggere le vittime e perseguire i responsabili di violenze. Firmata da Ankara nel 2011, ratificata dal Parlamento turco nel 2014, è diventata l’incubo dell’élite islamo-conservatrice al potere, ostile agli articoli relativi alla parità di genere e alla non discriminazione delle minoranze sessuali.

Alla vigilia dal vertice europeo del 25 e 26 marzo, la decisione turca di ritirarsi da un trattato europeo che protegge le donne dalla violenza sottoscritto, come detto, proprio a Istanbul, appare come una nuova provocazione del presidente Recep Tayyip Erdogan nei confronti dei suoi partner europei, i quali sembra ormai che trattino Erdogan come un “monello” a cui perdonare capricci, con la differenza che queste scappatelle interessano la politica internazionale e i diritti umani. Le motivazioni della “scelta” di Erdogan vanno ricercate anche nelle pressioni che da mesi sono esercitate dai capi religiosi delle confraternite e dai politici più conservatori, i quali hanno spinto il governo ad abbandonare il “tavolo” internazionale, ritenuto lesivo dei valori familiari.

Così Fahrettin Altun, responsabile della comunicazione di Erdogan, sul suo account Twitter ha dichiarato: “La convenzione di Istanbul, che originariamente mirava a promuovere i diritti delle donne, è stata dirottata da un gruppo di persone che cercano di normalizzare l’omosessualità, che è incompatibile con i valori sociali e familiari della Turchia. Da qui il nostro ritiro”. Abdulhamit Gül, ministro della Giustizia, ha affermato: “Continueremo a proteggere con determinazione l’onore del nostro popolo, delle nostre famiglie e del nostro tessuto sociale”. Mehmet Boynukalin, il controverso Imam di Hagia Sophia, ha twittato: “Tanrıya şükür”, “grazie/lode a Dio”, vedendo la scelta come un passo verso una Turchia più giusta e più forte.

Ma la “pietra tombale” su questa scelta, come su molte altre, l’aveva già piazzata il presidente turco nel 2019, quando aveva affermato che il testo della Convenzione non aveva alcun valore per lui poiché “non faceva parte del Corano”.

Aggiornato il 24 marzo 2021 alle ore 10:07