Attentato in Svezia, l’ombra del terrorismo islamico

Ormai la strada del fallimento dell’integrazione interculturale nella Penisola scandinava segna il passo con tempi quasi scanditi. Il sistema giuridico scandinavo ed in esso il suo welfare, nel suo complesso e con poche diversità tra i vari Stati, mostra, con le sue “braccia aperte”, tutte le fragilità di una società che ha fatto dell’accoglienza un ex vanto. Scrivo ex vanto in quanto l’avere accolto, dai primi anni Settanta, nelle proprie città migranti prevalentemente di religione islamica, in maggioranza pakistani, iracheni, siriani, iraniani, marocchini, somali e dall’area balcanica bosniaci e kosovari non sembra, a detta degli scandinavi, un costruttivo “acquisto”.

La troppa fiducia che la popolazione scandinava ha affidato al proprio carattere e alle proprie consuetudini, ha strutturato una società, che oggi scopre essere socio-culturalmente miope, e che negli anni ha elaborato un sistema di welfare sbilanciato e, alla luce dei fatti, prevalentemente perdente. Così il sistema di accoglienza ha permesso, in molti casi, la nascita di gruppi sociali legati da una visione radicale della religione; tale disponibilità all’assistenza ha favorito un flusso immigratorio oltre le fisiologiche e giustificate dinamiche umane. Che l’integrazione interculturale scandinava fosse un’utopia lo si è notato abbastanza presto. Infatti sia in Norvegia, come in Danimarca, Finlandia e Svezia, tali “comfort” offerti dagli Stati accoglienti gli immigrati, con qualsiasi status, hanno portato, nella maggior parte dei casi, non ad una volontà di integrazione con i contesti sociali e giuridici autoctoni, ma a creare delle enclaves socio-religiose, all’interno delle quali nemmeno la polizia o l’ambulanza possono penetrare.

L’attacco in Svezia ha causato sette feriti; secondo un rapporto emanato a caldo dal portavoce dell’ospedale di Jönköping, capoluogo regionale, tre dei feriti hanno riportato lesioni molto gravi e due meno gravi, mentre gli altri sono stati colpiti superficialmente. L’aggressore, del quale per ora immotivatamente è celata l’identità e la nazionalità, ben nota però ai Servizi svedesi, potrebbe essere un afgano giunto in Svezia nel 2018, con tutto quello che ne può conseguire e avrebbe venti anni. Armato di un affilato coltello, altra caratteristica che delinea una tipologia di soggetti, ha assalito i passanti in cinque località limitrofe nel centro della cittadina di Vetlanda, un Comune di provincia con 12mila abitanti a circa 80 chilometri dalla città di Jönköping.

La Tv svedese Svt ha trasmesso il filmato prodotto da un testimone, che mostra l’arresto dell’aggressore avvenuto in una area residenziale. La polizia aveva inizialmente escluso la pista terroristica ma ha fatto sapere, poche ore dopo, che stavano considerando il crimine di stampo terroristico islamico, senza spiegare le motivazioni del cambio di opinione. Tale affermazione è presumibilmente il frutto della identificazione della nazione di provenienza dell’aggressore, e dell’interrogatorio seguito all’arresto. Gli investigatori, in una conferenza stampa trasmessa mercoledì sera, sono rimasti cauti. Infatti Malena Grann, capo della polizia di Jönköping, ha affermato: “Ci sono dettagli delle indagini che ci inducono a lavorare su possibili motivazioni terroristiche. Ma non possiamo specificare quali siano”.

Il sospetto, ricoverato in ospedale per curare le ferite causate dalla polizia svedese, è noto alla polizia per reati minori tra cui spaccio di droga, vive nella zona delle aggressioni. Poche indicazioni sulla sua figura delineano il profilo di una persona emarginata, che sopravvive grazie al generoso welfare svedese e con espedienti di piccola delinquenza, condizione ideale per un facile indottrinamento. In Svezia, i servizi di intelligence considerano elevata la minaccia terroristica e sono stati effettuati adeguamenti sia alla sicurezza che al controllo, ma in alcuni casi ritengo troppo tardi. La Svezia è stata colpita due volte da attacchi terroristici negli ultimi anni: nel dicembre 2010 e nel 2017, causando morti e feriti e legando gli attentatori, con varie motivazioni, alla matrice islamica. Il primo ministro svedese, il socialdemocratico Stefan Löfven, ha condannato tramite i canali social questo atto terribile – non ha pronunciato ancora il termine “terroristico” – aggiungendo di affrontare questi atti atroci con la forza comune della società. La polizia e l’intelligence valutano costantemente la necessità di adottare misure di sicurezza più rigide.

Al di là di come verrà etichettato l’attentatore di Vetlanda, nelle città principali della Penisola scandinava è in atto una forte attività di proselitismo islamico. Ad Oslo è portato avanti dall’imam salafita Fahad Qureshi, che predica la conversione dei norvegesi all’islam, discrimina l’omosessualità e lotta per l’applicazione della sharia in Norvegia, obbliga il niqab alle donne musulmane, nonostante una legge norvegese lo vieti, e si prodiga per ottenere la separazione dei sessi nei bus e nei servizi pubblici. Ad oggi in Norvegia si contano quasi 3500 norvegesi convertiti all’islam, spesso ostentati da Qureshi nei canali televisivi. Secondo Statistics Norway, i musulmani sono circa 125mila, il 2,5 per cento su una popolazione di più di cinque milioni di abitanti, e si collocano al secondo posto dopo i luterani. In Svezia, che è il Paese più secolarizzato al mondo secondo i sondaggi, l’80 per cento degli abitanti appartiene formalmente alla Chiesa luterana, la religione è considerata una questione personale e ognuno è libero di praticarla come meglio crede. Non è quindi raro imbattersi in una autista di autobus, una maestra d’asilo o una poliziotta che indossa un velo islamico. Inoltre, dal 9 settembre 2018 il Parlamento ha persino il suo primo deputato velato.

Ma una questione è emersa e sta emergendo con maggiore veemenza nei dibattiti pubblici sui social network, per poi dilagare sui maggiori quotidiani e stabilirsi come elemento centrale nei dibattiti tra molti opinionisti del Paese anche con il supporto del mondo femminista, di destra e di sinistra, che si chiedono: può la Svezia, paladina dell’uguaglianza di genere, continuare a difendere l’uso del velo in nome della libertà di religione? La risposta, che l’attentatore afgano sia un terrorista o meno, va ricercata nella triste realtà del fallimento dell’integrazione interculturale.

Aggiornato il 05 marzo 2021 alle ore 11:20