La neo-politica africana di Biden

L’esordio del presidente statunitense Joe Biden sul complesso palcoscenico africano si apre nel segno della conciliazione e dei “segnali forti”. Così il presidente Usa ha nominato, nelle posizioni chiave del suo esecutivo, figure afroamericane come Mahmoud Bah, di origine guineana, incaricato manager ad interim della Millennium challenge corporation (Mcc), che è un programma di sviluppo nato per sovvenzionare i Paesi che hanno dimostrato il loro impegno ad adottare sane riforme economiche e efficaci pratiche gestionali; Enoh Ebong, donna di origine nigeriana, diventata direttore ad interim dell’Agenzia statunitense per il Commercio e lo Sviluppo (Ustda); Kamala Harris, vice di Biden, che benché non sia afroamericana, i suoi genitori sono di origine caraibica e indiana; così anche il nuovo segretario della Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, già primo uomo afroamericano a ricoprire il ruolo di XII comandante dello United States central command, generale a quattro stelle.

Segue poi Marcia Fudge, rappresentante dell’Ohio al Congresso Usa, è ora ministro dell’Edilizia abitativa e dello Sviluppo urbano, mentre Susan Rice, ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, diventa direttore del Consiglio per la politica interna; inoltre, Linda Thomas-Greenfield, ex responsabile degli Affari africani dal 2013 al 2017, prima di essere licenziata dall’incarico da Donald Trump, ora rappresenta il suo Paese alle Nazioni Unite. Se a queste figure di potere si aggiungono quelle del mondo ispanico, e persino dei nativi americani, l’attuale Governo americano è di gran lunga il più etnicamente diversificato nella storia degli Usa, infatti metà dei suoi membri non sono bianchi.

Questo “segnale” è stato salutato con soddisfazione dalle associazioni antirazziste degli Stati Uniti. Tali scelte hanno accompagnato la sua nuova politica fatta da discorsi concilianti, esempio di una “diplomazia normale” che vuole superare la politica di Donald Trump il quale ha espresso, durante il suo mandato, un discreto disinteresse verso l’Africa. Senza dubbio, vista la sprezzante indifferenza mostrata da Trump verso il Continente africano, non sarà un compito erculeo quello di Biden; infatti, l’ex presidente oltre a non essersi ufficialmente mai recato in Africa, sembra che abbia anche definito, nel 2018, gli Stati africani “shithole countries.

La nuova Amministrazione ha già delineato la sua “rotta” sia nel Vicino Oriente, al momento non indolore, che in Africa, soprattutto perché ha già contrassegnato un netto cambiamento di intenzioni e ambizioni. Infatti, nel discorso ai delegati presenti al trentaquattresimo vertice dell’Unione africana (Ua) tenutosi il 7 febbraio, Joe Biden ha tratteggiato la linea generale della sua politica estera: “L’America è tornata. La diplomazia è ancora una volta al centro della nostra politica estera. Ci sforzeremo di rinnovare il nostro ruolo nelle istituzioni internazionali e di riguadagnare la nostra credibilità e la nostra autorità morale”.

Il supporto ed il rispetto reciproco sono stati i concetti su cui ha concentrato le sue osservazioni sull’Africa, dicendo che gli Stati Uniti sono al fianco dell’Africa, come partner nella solidarietà, nel sostegno e nel rispetto reciproco, rafforzando il convincimento di “Credere nelle nazioni africane”. Ha continuato parlando di una “visione condivisa per un futuro migliore”, trattando degli aspetti legati alla sicurezza, ai diritti umani imprescindibili per donne, ragazze, persone Lgbtqi e disabili, di qualsiasi origine etnica, cultura e religione, soffermandosi soprattutto sull’economia. Non ha trascurato, ovviamente, l’aspetto vaccinale da Covid, rimarcando l’emergenza e promettendo finanziamenti adeguati alle industrie farmaceutiche di vaccini, con un accenno al clima e lo stanziamento di fondi per il Green climate fund. Al fine di suggellare la netta spaccatura con la politica trumpiana, ha annunciato che le restrizioni sui visti per i rifugiati imposte da Trump saranno abrogate e che l’uguaglianza razziale e la lotta contro il suprematismo bianco saranno priorità per la sua Amministrazione, sottolineando la continuità con Barack Obama, di cui era vicepresidente.

I semi sono stati gettati. Restano ora da vedere gli effetti delle nomine e delle politiche promesse. Da parte africana, c’è senza dubbio molta disponibilità ad accogliere le prospettive Usa; la differenza rispetto all’Amministrazione Obama sembra essere un maggiore programma di investimenti sulle problematiche legate al cambiamento climatico, tema della sua campagna elettorale. Sulla priorità sanitaria, qualche perplessità è trapelata anche da Biden. Nonostante gli sforzi dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel cercare il Covid-19 in Africa, lì ha avuto un peso sanitario inesistente, manifestato solo dal Covid-look rappresentato, anche in quel luogo, dal business delle mascherine.

Su altri temi già si sa che Washington rispetterà i consolidati ruoli, lasciando “la scena militare” alla Francia nella difficile area del Sahel, garantendo, tuttavia, il supporto logistico già esistente. E unendo, in modo abbastanza classico, i propri interessi, soprattutto quelli economici, con le strategie africane. Ma chi frequenta, con cognizione di causa, le dinamiche della Storia, sa che ciò che sembra prevedibile potrebbe essere vanificato dagli eventi stessi e, in questo caso, dalla capacità di reazione dei politici africani e statunitensi.

Aggiornato il 03 marzo 2021 alle ore 09:54