Mali: la liberazione degli ostaggi tra gioie e dolori

lunedì 12 ottobre 2020


La liberazione, in Mali, di tre ostaggi occidentali e dell’ex ministro delle Finanze maliano, ha suscitato gioia ma anche preoccupazione e rabbia tra la popolazione del Burkina Faso e Niger. Il Burkina Faso è esposto, come il Mali e l’area del Sahel, alla minaccia jihadista ed il rilascio della francese Sophie Pétronin, operatrice umanitaria di 75 anni, del politico maliano Soumalia Cissé, di Padre Gigi Maccalli e di Nicola Chiacchio, ha provocato sentimenti contrastanti. Gli ostaggi sono stati tenuti prigionieri nel nord del Mali dal Gsim, Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani, il principale alleato di Al-Qaeda nel Sahel. La conferma della notizia della liberazione è stata data giovedì 8 ottobre in prima serata dal portavoce della presidenza del Mali via web e sui social network è proseguita la diffusione della notizia, ripresa poi giovedì in tarda sera dal quotidiano del Burkinabé, Le Pays, che cita, in apertura dell’articolo, il celebre aforisma del regista americano Woody Allen: “L’eternità è lunga, soprattutto verso la fine”.

L’area dei tre confini, Burkina Faso, Mali e Niger, ma tutta la regione del Sahara-Sahel, è flagellata dalla violenza jihadista legata ad Al-Qaeda e allo Stato Islamico nel Grande Sahara. Dal 2015 sono stati uccisi dai terroristi jihadisti almeno un paio di migliaia di persone e l’annuncio del rilascio di circa duecento prigionieri, in cambio della liberazione degli ostaggi, ha suscitato sconcerto e sdegno. Inoltre sui canali di informazione filo-Gsim che trasmettono tramite l’applicazione di messaggistica Telegram, sono stati esibiti come “combattenti jihadisti”, esaltandone il valore e l’importanza, rappresentando “lo scambio” come una vittoria. La preoccupazione degli abitanti del Burkinabé è data dal timore di dover affrontare una recrudescenza degli attacchi sul proprio territorio, il quale condivide con il Mali quasi mille chilometri di confine. Proprio sui social network appaiono già forti preoccupazioni verso le forze di sicurezza e verso i civili; i timori maggiori sono sull’incognita di quanti perderanno la vita a causa di questi terroristi rilasciati che andranno a rafforzare le “linee” jihadiste.

Tutta l’operazione di liberazione degli ostaggi è tuttora e probabilmente lo resterà, avvolta nell’oscurità; secondo le informazioni del “Word Africa”, nell’elenco dei jihadisti liberati figurano molti capi appartenenti ai gruppi terroristici del jihad, tra di essi il mauritano Fawaz Ould Ahmed, che operava a fianco di Mokhtar Belmokhtar arrestato nel 2016 e protagonista degli attacchi perpetrati nel 2015 in Mali contro il ristorante La Terrasse a Bamako, dove persero la vita sei persone e all’hotel Byblos a Sévaré, dove ne vennero uccise ventidue.

 Indubbiamente tale operazione, come i precedenti dimostrano, alimenterà il già fiorente traffico di ostaggi e riscatti nel Sahel. Infatti tale ipotesi è stata palesata durante una intervista da Raogo Antoine Sawadogo, ex ministro della Sicurezza del Burkinabé e attuale presidente del think-tank Laboratoire Citoyennetés, che ha affermato: “Il rilascio di terroristi, qualunque sia il loro numero e grado, può solo accendere la polveriera nella sotto-regione. Questi ultimi verranno riportati alla loro base e riarmati. Tale strategia è un circolo vizioso”.

Ad oggi sono almeno cinque gli ostaggicommerciabili” ancora detenuti dai jihadisti nel Sahel, tra essi: Kenneth Elliott, un medico che operava nel Burkinabé, rapito nel 2016, Iulian Ghergut, un agente di sicurezza romeno rapito nel 2015, Christo Bothma, un sudafricano rapito nel 2018.

Contrariamente alla diplomazia maliana che da tempo ha aperto negoziati con i jihadisti, la presidenza Burkinabé ha sempre mostrato il suo rifiuto di discutere con tali organizzazioni terroristiche. Tuttavia, da alcune parti politiche si esorta la presidenza a cambiare strategia e chiedere l’apertura di un “dialogo”. Il partito dell’ex presidente Blaise Compaoré, che ha guidato il Burkinabé dal 1987 al 2014, aveva stabilito contatti con alcuni leader jihadisti della regione e non ha mai nascosto la volontà di negoziare. Eddie Komboïgo, presidente del Congress for Democracy and Progress (Cdq) e candidato alle presidenziali del 22 novembre, ha affermato in campagna elettorale: “Il terrorismo non si combatte con le armi ma con la diplomazia, dobbiamo cambiare strategia, discutere per capire perché siamo attaccati e trovare una soluzione verso la pace”.

In risposta Zéphirin Diabré, il leader dell’opposizione Burkinabé con maggiore prudenza ha detto: “In tutti i conflitti della storia umana, a un certo punto deve esserci un contatto con i belligeranti. In che forma? Questo è un’altra discussione”.

Comunque il pagamento di un riscatto sarebbe stato un fattore scatenante per questa operazione. Lemine Ould Mohamed Salem, giornalista mauritano e specialista in questioni jihadiste, ha asserito che la somma di dieci milioni di euro è stata versata al Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani (Gsim) per ottenere il rilascio dei quattro ostaggi. Ovviamente tale informazione non è confermata ufficialmente da parte maliana, francese e nemmeno dalla “brillantediplomazia italiana, anche se il pagamento del riscatto è una pratica basilare per ottenere la liberazione degli ostaggi nella regione.

In conclusione, viste le dinamiche brevemente presentate, tra intenzioni di accondiscendere a negoziati, quindi riconoscere come interlocutori i gruppi jihadisti, la liberazione di almeno 200 miliziani e probabilmente l’esborso di 10 milioni di euro, si può indubbiamente affermare che i jihadisti sono i grandi vincitori di questa operazione.


di Fabio Marco Fabbri