Mali: ombre sulle elezioni legislative

Il Mali, risparmiato fino a pochi giorni fa dal Covid-19, è entrato nel “girone virale” da sabato 28, con 18 casi di persone infette ed un deceduto. Così le autorità hanno dovuto estendere lo “stato di emergenza”, normalmente dedicato al contesto “terroristico”, anche al contesto sanitario. Inoltre, altre misure sono state messe in atto, come la chiusura delle frontiere terrestri, ad eccezione del trasporto merci, ed il coprifuoco nelle ore notturne e tardo pomeridiane.

Nonostante la criticità del momento e la rapida espansione del coronavirus, il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta, ha perseverato nella decisione, da molti contestata, di “celebrare” le elezioni legislative in prima tornata, ieri, domenica 29 marzo e in seconda tornata il 19 aprile, con il risultato che la già consuetudinaria astensione, si è accentuata, causa pandemia, non superando i cento votanti per seggio. Normalmente il tasso di partecipazione alle elezioni legislative è basso; dal 1992 al 2018, la presenza alle tornate elettorali non ha mai superato il 40%; dai dati di poche ore fa non si dovrebbe superare il 30%, compromettendo la legittimità dei deputati che saranno eletti in seguito all’imminente spoglio. Tuttavia i presupposti, nonostante jihadismo e coronavirus, erano incoraggianti. Secondo le autorità, dal 23 marzo, il 65 per cento degli elettori aveva ritirato la “cartella elettorale” necessaria per poter esprimere il voto, il dubbio era su quanti, dei 7,5 milioni di elettori, si sarebbero azzardati a mettersi in viaggio per questo primo turno. Per un Parlamento in cerca di una legittimità, strategicamente e politicamente non derogabile, la partecipazione era un fattore importante.

Ibrahim Boubacar Keïta ha confermato la data delle elezioni ai suoi connazionali il 25 marzo durante un atteso comunicato televisivo, specificando che: “le votazioni si sarebbero tenute con scrupoloso rispetto per le misure di prevenzione sanitarie”.

Gli elettori hanno votato per il rinnovo dei 147 seggi del Parlamento; le ultime elezioni legislative si sono svolte nel 2013; il mandato dell’assemblea aveva concesso una maggioranza sostanziale al presidente Keïta, che avrebbe dovuto concludersi alla fine del 2018; ma le elezioni, per due volte programmate, sono state rinviate a causa delle forti discussioni nell’ambito politico, ma soprattutto a causa del grave deterioramento della sicurezza, determinato dal dilagante jihadismo e dalle lotte intercomunali ed interetniche.

Una forte presenza di polizia, accompagnata delle forze francesi e del Minusma, ha garantito le operazioni di voto che si sono svolte senza incidenti a Bamako, mentre a Daoudabougou, nel centro elettorale Lycée Kadhafi, qualche non grave incidente si è verificato, causato perlopiù dall’obbligo di immergere il dito nell’inchiostro indelebile, ritenuto da molti elettori fattore di contaminazione virale, oltre al tradizionale mercato del voto, segnalato in diversi seggi elettorali a Bamako; secondo varie fonti questa pratica è stata fatta alla luce del giorno.

Inoltre ha dichiarato Amini Belko Maïga, funzionario del Ministero dell’Amministrazione regionale, che circa 250mila sfollati, ma la cifra è come sempre al ribasso, non hanno potuto votare, a causa della dichiarata impossibilità di allestire un meccanismo atto a permettere il voto.

La campagna elettorale è stata, come si evince dai media, poco entusiasmante, rallentata dalle misure sanitarie adottate, che hanno vietato le assemblee e comizi vari; tuttavia, la posta in gioco è alta. Per gli esperti di politica locale, si tratta di mettere in atto il poco ricordato “accordo di pace di Algeri”, sottoscritto, nel 2015, tra le autorità governative maliane ed i gruppi armati di indipendenza, ma soprattutto con i tuareg, che aveva preso le armi contro il governo del Mali nel 2012. Tale accordo non comprende i gruppi jihadisti, che “ufficialmente”, per ora, non fanno parte di particolari negoziati. L’applicazione dell’“accordo di Algeri 2015”, prevede una riforma costituzionale che permette un maggiore decentramento amministrativo e dei poteri, una sorta di statuito speciale per “Regioni etniche speciali”. Bréma Ely Dicko, storico e sociologo dell’Università di Bamako, insieme ad alcuni politici, ritengono che la riforma debba essere adottata con priorità dall’Assemblea Nazionale che uscirà dalle urne.

Tuttavia un’enorme ombra si staglia su queste elezioni politiche, ed è il rapimento del presidente dell’Urd (Unione per la Repubblica e la Democrazia) e leader dell’opposizione maliana, Soumaïla Cissé, sequestrato mercoledì 25 marzo mentre teneva una riunione politica vicino a Niafunké, nella regione di Timbuktu.

Indicazioni, sia di fonte media locali che più ampi, come Tv5Monde, ipotizzano, credibilmente, che Soumaïla Cissé è stato rapito dalle milizie del gruppo terroristico Katiba Macina che rappresenta un noto movimento terroristico jihadista collegato al Gsim, Gruppo di supporto per islam ed i musulmani, guidato dall’imam Amadou Koufa.

Da questo breve quadro almeno due riflessioni sono degne di essere valutate: la prima è perché, nonostante la conclamata presenza del coronavirus, le elezioni si siano tenute ugualmente; la seconda, preoccupante dal punto di vista politico, è perché è stato rapito, da una delle bandiere jihadiste presenti nel Sahel, il leader dell’opposizione, personalità di caratura internazionale? Alla prima si può dare risposta nella necessità che la popolazione percepisca ancora un senso di legalità nello Stato, necessaria a mantenere quel poco di equilibrio sociale rimasto; per la seconda, bisogna leggerla senza dogmi, ricordando il summit dell’Unione Africana (Ua) tenutosi ad Addis Abeba il 9-10 febbraio 2020, durante il quale il Presidente del Mali, Keïta, sotto la pressione delle tv Rfi e France 24, non escluse di “negoziare” con Amadou Koufa, come già detto, capo del gruppo armato salafita denominato Fronte di Liberazione di Macina e Iyad Ag Ghaly, vertice del gruppo salafita Anṣār ad-Dīn (i difensori della religione), punti di riferimento del jihadismo organizzato sahariano (mio articolo del 28 febbraio). Proprio Amadou Koufa sembra sia l’artefice del sequestro di Soumaïla Cissé, oppositore politico del presidente Keïta. Forse una semplice coincidenza?

Considerando anche che se la partecipazione, come sembra, starà sotto il 30 per cento, questo rischierà di non legittimare il vincitore, rendendo ancora più ingestibile questo martoriato Stato saheliano.

Aggiornato il 30 marzo 2020 alle ore 11:41