Coronavirus: necroscopia di una società

lunedì 23 marzo 2020


Le società “vivono” ciclicamente delle “parabole”, che come la vita nascono, crescono e muoiono. Nella storia queste parabole sociologiche hanno avuto dei tempi più o meno lunghi, ma tutte sono “terminate” con uno “shock sociologico” che ha poi permesso la ripartenza con la “curva sociologica in ascesa”. Molto brevemente, nella storia, questi shock terminali si sono materializzati con pesti, guerre, “panrivoluzioni”; la nostra “parabola” è iniziata con lo “shock” della fine della Seconda guerra mondiale. Come ricorderà chi li ha vissuti, o chi li ha letti e sentiti raccontare, negli anni ‘50, ‘60, ‘70, fino a circa fine anni ‘80, la “locomotiva economica” italiana è andata a “tutto vapore”: certezze, ascensore sociale, “ruoli” ben definiti, regole economiche abbastanza congrue, sistema scolastico e universitario coerente alle aspettative, sanità più che sufficiente, anche una buona etica nella classe politica, o comunque c’era qualcosa per tutti.

Dalla fine degli anni ‘80 in poi la “parabola” è iniziata a scendere per tracciare in questi ultimi anni una “agonia sociologica” con la deriva di quanto sopra citato, dall’istruzione alla sanità, per non parlare della politica, come se si attendesse uno “shock”. Questo è quanto da un paio di anni, in più occasioni pubbliche, manifesto, cavalcando una visione “organicistica” dell’universo e spesso condividendo e sviluppando anche le teorie di Gaston Bouthoul ed il suo concetto, fisiologico e drammatico del “rilassamento demografico”. Non so se il Covid-19 potrà creare i presupposti (come accade dopo il 1945), una volta terminata l’emergenza, per una nuova “locomotiva economica”, ma sicuramente sia la società che l’individuo, mi auguro, che possano trarre da questa dolorosa sventura, un’esperienza per leggere il fallimento ideologico, culturale e morale della società o meglio della società europea. L’eccezionale situazione che stiamo percorrendo ci obbliga a rivedere le nostre già scarse certezze, a rivedere anche il nostro modo di pensare, sia individualmente ma soprattutto, collettivamente.

Ripensare alla nostra organizzazione sia complessiva che personale e considerare, sotto nuova luce, il funzionamento delle nostre società. L’Africa, come la “barcollante” società occidentale, potrà forse capire, da questa cruciale esperienza, che la pandemia ha conclamato una tripla bancarotta europea, appunto, morale, culturale ed ideologica, dalla quale se ne dovranno trarre delle necessarie reazioni. L’Europa è ormai “epicentro della pandemia”. I Paesi africani stanno chiudendo i loro confini ai viaggiatori provenienti dai paesi del Vecchio Continente. Sconcertando le nostre più radicate certezze e le nostre rappresentazioni mentali, frutto spesso di una “tossicodipendenza da ignoranza”, la pandemia di coronavirus, che è ancora agli inizi, sta già diventando uno dei principali eventi del nostro tempo. Per il continente africano è un momento estremamente caotico e colmo di perplessità; il virus si sta diffondendo “nebulosamente” in diversi Stati. Il quadro dell’equazione è complesso ma anche elementare: con un Sistema sanitario troppo debole e frammentato, con risorse limitate nonostante i magnificati “aiuti internazionali”, come può l’Africa fare fronte a quello che sta “mettendo all’angolo” l’Europa ed il suo occidente?

L’arroganza “occidentale” ormai ha indossato le vesti dell’ignoranza; due mesi fa Wuhan, capitale ed epicentro dell’epidemia, fu chiusa come tutta la provincia di Hubei dal Governo cinese; all’unisono, l’opinione pubblica, media e vari governi del Mondo espressero il loro superbo disappunto, sbeffeggiando la radicale decisione. Così la Spagna, vista la rapida diffusione della pandemia, ha reagito solo dopo il 14 marzo; riferisce in un intervista al quotidiano El Pais, Santiago Moreno, responsabile del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Ramón y Cajal di Madrid: “Siamo stati troppo fiduciosi. La maggior parte degli spagnoli era convinta che tali epidemie si verificassero solo in paesi come la Cina e non in paesi come i nostri”. Così l’8 marzo la Spagna ha festeggiato, con un’affollata marcia, la festa della donna; alcuni giorni dopo la moglie di Pedro Sánchez, presidente del governo spagnolo, presente alla “marcia” era contaminata. Il partito Vox ha riunito lo stesso giorno, quasi 10 mila persone, per poi “contabilizzare” anche Javier Ortega-Smith, segretario generale di Vox, tra gli infettati.

In quei giorni anche la Francia annuncia la contaminazione di Franck Riester, Ministro della Cultura; la manifestazione autorizzata dei Gilets Jaunes e le votazioni per le amministrative, hanno contribuito a soffiare sul “fuoco della pandemia”. E potremmo continuare con la non vietata “transumanza” degli italiani dal Nord al Sud della Penisola, dove risulta che su circa 25mila “viaggiatori”, il 22 per cento erano infettati da Covid-19. Identica “retorica” e misure simili, in Italia, Spagna, Francia e nel resto della Vecchia Continente. Il “fallimento morale” italiano è dipeso inizialmente dal non accettare un cambiamento dello “stile di vita” di fronte ad una minaccia, non visibile, come una guerra. Ad esso si aggiunge il “fallimento culturale”. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa ha “goduto” dell’idea di Altiero Spinelli, Leo Valiani, Jean Monnet, Robert Schuman che oggi piangerebbero alla vista del loro “progetto”; quell’Europa che è restata ai margini dalla storia. L’Europa ha rimosso, dalla sua “coscienza sociale” tutte quelle idee di caos, di incertezza, di morte; la “storia” l’ha vissuta come una lunga strada scandita da progressi continui, scontati ed inevitabili; le guerre, le siccità, le devastanti calamità naturali, gli esodi biblici di popolazioni disperate, le epidemie, erano per gli “altri”.

Il “fallimento ideologico”, oltre ad essere rappresentato dall’individualismo e dal liberalismo occidentale, oggi assume anche la connotazione di egoismo con forti tendenze nichiliste. Alcuni decenni di celebrazione “dell’individuo” hanno castrato qualsiasi cognizione di interesse comune. Il “noi” è stato umiliato dall’io”; tuttavia, la prevedibile fine della “parabola sociologica”, con la lotta contro il Covid-19, necessita la riesumazione di una solidarietà spontanea e spirituale, che permetta la nascita di una “fascinazione” verso una comunità che trascenda dagli interessi individuali. L’Africa ed il Medio e Vicino oriente, questa storia di morte, di guerre, di fame di esodi ecc, l’hanno vissuta e la stanno vivendo in modo cronico; vedremo alla fine, come ne usciranno, da questa “situazione, i continenti “abituati” e quelli “stupiti” ed arroganti,” nel ricordo dell’immortale poesia di Totò, ‘A Livella”:

‘A morte

‘ossaje ched’è?...

è una livella.


di Fabio Marco Fabbri