Tutti contro Bernie. I candidati democratici, nell’ultimo confronto televisivo che precede sabato 29 febbraio le primarie in South Carolina martedì 3 marzo il “Super Tuesday”, hanno preso di mira il vecchio Sanders. Il più a sinistra dei competitor. E non poteva essere diversamente, con i moderati sul palco che hanno tentato in tutti i modi di mettere in difficoltà il senatore socialista. Il motivo è evidente: il 78enne Sanders guida la “speciale classifica”. È lui il frontrunner lanciato nella corsa alla nomination. Mentre Elizabeth Warren, l’altra candidata progressista, non potendo colpire Sanders per l’agenda simile alla sua è tornata a sferzare Michael Bloomberg, con l’ex sindaco di New York che ha dovuto nuovamente incassare le accuse di sessismo e discriminazione sul luogo di lavoro. Ma anche quelle di aver fatto affari con la Cina e di non voler svelare le sue dichiarazioni fiscali. Il risultato è stata all’insegna del caos. Persino i moderatori del dibattito tivù hanno rischiato di perdere il controllo della situazione. Con la gioia del presidente Donald Trump e dei molti repubblicani che su Twitter hanno esultato per le divisioni all’interno del fronte avversario.

Ora l’establishment del Partito democratico non nasconde preoccupazione. Le divisioni rischiano di favorire proprio il tycoon e la sua rielezione il prossimo 3 novembre, al momento appare quasi certa. E con Trump è andato in scena anche un duello a distanza sulla vicenda del coronavirus, dopo che le autorità sanitarie federali hanno messo in guardia da un’impennata dei casi quasi certa anche negli Usa. E se i candidati dem – uno dei pochi punti su cui si sono mostrati d’accordo – hanno attaccato la gestione dell’emergenza da parte dell’amministrazione Trump, accusandola anche di aver tagliato i fondi alla sanità, il presidente non ci ha pensato due volte e ha risposto in diretta su Twitter: “La mia amministrazione sta facendo un grande lavoro, compresa l’immediata chiusura dei nostri confini a certe aree del mondo. Una misura a cui i democratici erano contrari”.

Il risultato, ha aggiunto, è che finora negli Usa non c’è stata alcuna vittima. Sanders si è dovuto difendere dalle accuse di essere aiutato dalla Russia (“non è vero”) e di aver difeso la Cuba di Fidel Castro (“ho detto le stesse cose di Obama”), ma soprattutto dal portare avanti un’agenda progressista che rischia di far vincere nuovamente Donald Trump. “Putin vuole la rielezione di Trump ed è per questo la Russia ti sta aiutando”, ha attaccato un Bloomberg leggermente più efficace e a suo agio rispetto al precedente dibattito televisivo.

“Vi immaginate – ha aggiunto – i repubblicani moderati che votano per Sanders? E se non succede questo non si vince contro Trump”. Sulla stessa linea d’onda Pete Buttigieg: “Se la nomination andrà a Sanders avremo altri quattro anni di Donald Trump, lo speaker della Camera sarà repubblicano e i democratici non riusciranno a riconquistare il Senato. Non è solo la presidenza che conta”. In soccorso del senatore è arrivata la collega Warren: “L’agenda progressista è molto popolare. Noi parliamo di come costruire il futuro. È questo quello che conta”.

Più vivace del solito anche l’ex vicepresidente Joe Biden, che in South Carolina è ancora in testa ai sondaggi e si gioca già gran parte delle sue chance di proseguire la corsa. La sfida a Sanders è lanciata: “Sabato vincerò io, e conquisterò il voto degli afroamericani”, ha detto, nella speranza di ricompattare la grande alleanza che portò al trionfo di Barack Obama. Ma nei sondaggi Sanders, che già lo sovrasta a livello nazionale, è in gran rimonta e fa paura.

Aggiornato il 26 febbraio 2020 alle ore 12:32