L’ombra di Putin sugli obiettivi siriani di Erdogan

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, mercoledì ha minacciato per l’ennesima volta, Bashar al-Assad di colpire con un’azione offensiva Idleb, nella Siria nord-occidentale, dove sono concentrati gli scontri militari tra le forze di Ankara e quelle di Damasco. Come è noto Erdogan sta costruendo intorno alla sua figura un “profilo” che assume ogni giorno di più una fisionomia califfale.

Dopo avere dichiarato pubblicamente due giorni fa ed in varie circostanze, che l’Europa non ha nessun diritto di influire sulle sorti della Libia, come se lo Stato africano fosse ancora sotto l’Impero Ottomano, ha poi nuovamente esortato il regime siriano a ritirarsi da alcune posizioni di Idleb entro la fine di febbraio, dichiarando che: “Questi sono i nostri ultimi avvertimenti, l’offensiva sarà fatta di notte, senza preavviso ed in breve tempo”. Le minacce di Erdogan sono frutto di inconcludenti schermaglie tra Ankara e Mosca, che hanno portato, in tutte le occasioni, i turchi al fallimento dalle proprie iniziative sia in Siria che in Libia.

È ben noto che il maggiore sostenitore del regime di Bashar al-Assad è Putin (ma anche lo sciita Iran), che ha sempre valutato le azioni e le minacce di Ankara controllabili e condizionabili, infatti le lagnanze di Erdogan spesso appaiono tendenzialmente patetiche: “Sfortunatamente, né le discussioni tenute in Turchia, ne in Russia, né i negoziati sul campo, ci hanno permesso di ottenere il risultato che desideriamo”, ha asserito Erdogan, continuando: “Siamo molto lontani dai nostri obiettivi, è un dato di fatto, ma i colloqui (con i russi) continueranno”.

Le ultime settimane hanno presentato le Forze armate siriane in eccellente stato di efficienza; con il supporto dall’aviazione russa, hanno inferto pesanti perdite ai residui jihadisti presenti nella regione di Idleb, purtroppo causando anche gravi lutti alla popolazione civile loro malgrado presente nei luoghi controllati dagli estremisti islamici. Tale situazione oltre a causare morti civili, ha anche prodotto l’esodo di oltre un milione persone nel tentativo di sfuggire ai combattimenti. La parte più sorprendente, rispetto ad altre “sventure umane”, è la velocità con cui si mettono in moto questi angosciosi spostamenti di massa; questa parte della Siria rischia di essere il luogo di una delle più drammatiche catastrofi umanitarie contemporanee. Damasco è in guerra dal 2011 contro i ribelli anti-Bashar sostenuti dalla Turchia, contro i jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham e Jabhat Fateh al-Sham, frange di al-Qaida e residui e dell’Isis, “favoriti da Ankara” e contro l’esercito regolare turco con i suoi 12mila uomini distribuiti in 12 posti di osservazione sul territorio siriano. In totale il conflitto partito con “sembianze” da “guerra civile”, ha costretto all’esilio milioni di siriani e causato quasi 400mila morti. La crisi siro-turca ha avuto una impennata nella prima settimana di febbraio quando soldati di Ankara, posizionati a Idleb a seguito di un blando accordo con i russi, sono caduti sotto i bombardamenti siriani. Da quel momento Erdogan ha chiesto all’esercito “damasceno” il ritiro delle truppe ad est del tracciato stradale che conduce in quell’area; tuttavia le conquiste territoriali siriane a sfavore delle milizie jihadiste, hanno prodotto anche un accerchiamento delle truppe turche presenti in loco. Erdogan, al di la dell’ostentazione di sicurezza e d’influenza a livello sovra-regionale, non gode ne di alleanze certe ne di potenza offensiva tale da determinare lo spostamento degli equilibri internazionali esistenti. Il suo noto appoggio alle milizie islamiste ed ai ribelli siriani, non ha portato ad oggi nessun risultato, ne a livello di controllo territoriale, ne a livello di peso geopolitico. Mercoledì Erdogan ha dichiarato che: “Abbiamo fatto tutti i preparativi per attuare i nostri piani; siamo determinati a rendere Idleb una regione sicura per la Turchia e la popolazione locale, qualunque sia il costo”. 

Circa la “politica libica”, Ankara ha continua la fornitura di armi al presidente della Tripolitania Sarraj, come il carico di blindati e sistemi antiaerei jamming, trasportati dalla nave Bana, battente bandiera libanese, ormeggiata al terminal Messina del porto di Genova e poi scortata a Tripoli da navi turche; tuttavia ciò non ha sbilanciato il peso militare a favore di Tripoli, ma ha comunque dato ulteriori libertà alla Turchia di effettuare perforazioni petrolifere in acque libiche, suscitando grande preoccupazione e disappunto dei Paesi del Mediterraneo orientale e non solo.

Secondo l’International Crisis Group (Icg), solo il 25% del territorio della regione contesa siriana di Idleb è stata ripresa dall’esercito di Damasco ed è la periferia della provincia. La zona demograficamente più intensa è compresa nella capitale che è ancora sotto il controllo dei ribelli anti Assad. Se si dovesse verificare un offensiva decisiva dell’esercito di Damasco, supportato dall’aviazione russa e dalle forze di terra, anche dei mercenari Wagner, come riferisce anche Dareen Khalifa, un esperto di sicurezza dell’Icg, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche per la popolazione civile, che tra l’altro sarebbe costretta a fuggire in Turchia con conseguenze prevedibili ancora più drammatiche e con la certezza di creare una delle peggiori crisi umanitarie dell’intero conflitto.

In questo multiforme “palcoscenico” l’affermazione espressa poche ore fa dal portavoce personale di Putin, Dmitry Peskov è indicativa: “Consideriamo un’operazione militare turca contro le forze siriane il peggiore degli scenari”; considerando anche il preoccupante riavvicinamento tra Washington ed Ankara, il futuro si presenta piuttosto plumbeo.

Aggiornato il 21 febbraio 2020 alle ore 11:45