Coronavirus: l’Africa il tallone d’Achille del Pianeta?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) finalmente “riflette” sui dati ufficiali che provengono dalla Cina per quanto riguarda gli infettati dal coronavirus. Lo spettacolare aumento dei casi di contagio denunciati, stimato mercoledì intorno ai 44mila ed oggi sembra che superino abbondantemente i 65mila, ribadisce l’idea che questi “numeri” siano comunque inattendibili a causa di fattori demografici, anagrafici, geografici e culturali. Come sappiamo la Cina detiene la stragrande maggioranza dei casi di infezione da virus; in Africa, per ora, è stato “identificato” solo un caso, in Egitto ed il “contagiato”, di cui non si conosce l’identità, risulta non egiziano.

L’Oms e la Sezione africana dei Centri americani per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (Cdc), affermano che statisticamente è molto improbabile che il continente africano rimanga l’unico risparmiato dal Covid-19 (coronavirus) ed è possibile che soggetti infettati siano già presenti in Africa e che non vengano resi noti semplicemente perché ancora non sono stati identificati. Per il momento, sia in Costa d’Avorio ed in Burkina Faso, Stati meno “sanitariamene” preparati, come in Marocco e nella Repubblica Centrafricana, Stati dotati di centri di diagnosi attrezzati, i vari casi sospetti si sono rivelati negativi. Intanto onde evitare di ragionare su semplici probabilità e su luoghi comuni, scienziati provenienti da Europa, Africa e Stati Uniti hanno unito i loro sforzi per gestire, con la massima precisione possibile, i rischi di arrivo del virus nel Continente. La perplessità principale che affligge gli “analisti” dell’Oms è che, al di la del caso egiziano, l’Africa è l’unico continente in cui nessun caso di coronavirus è stato identificato. Il capo dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato che teme che il Codiv-19 sia già presente nel Continente, quantomeno a causa dei forti legami tra Africa e Cina. Inoltre l’Africa è annoverata tra i “Paesi poveri” e manifesta la sua  “debolezza” sotto l’aspetto sociale, politico, economico e soprattutto sanitario. Come è noto uno degli Stati africani più attenti a molti “fattori sociali” è il Congo che conduce una perenne battaglia contro il virus ebola, che tuttavia non riesce ne ha tenere sotto controllo ne a debellare; la maggior parte degli altri Stati sahariani, sub sahariani e centro sud africani, combattono contro il colera, l’Aids, la febbre gialla, la tubercolosi e malattie di ogni genere, anche se il killer più insidioso che detiene il record di vittime, è la fame e la sete, “aiutati” dalla crescente desertificazione. Michael Yao, responsabile delle “emergenze”, una sorta di Unità di Crisi dell’Oms in Africa, ha fatto presente che molti Paesi del continente, per quanto riguarda la diagnostica del coronavirus, o hanno il minimo per iniziare, o stanno iniziando da zero. Come evidenziato precedentemente, i Sistemi Sanitari di molti Paesi africani stanno già affrontando un pesante carico di lavoro per le croniche e quotidiane battaglie contro le epidemie endemiche; il nuovo e complesso focolaio virale appare un “gigante altamente infettivo” contro il quale l’unica reazione è spesso la rassegnazione, atteggiamento sociologicamente di uso corrente anche a causa della sopraffazione che continuamente le epidemie africane hanno sui Sistemi sanitari autoctoni.

Fino alla fine della settimana scorsa l’Africa era dotata solo di due laboratori in grado di diagnosticare il Codiv-19, uno in Senegal, l’Istituto Pasteur di Dakar, da tempo all’avanguardia dell’innovazione medica in Africa, in particolare nella ricerca sulla febbre gialla, l’altro in Sudafrica, ambedue in possesso dei reagenti necessari per testare i campioni da analizzare. In questi ultime ore il Ghana, il Madagascar, la Nigeria e la Sierra Leone, hanno annunciato di essere nelle condizioni di poter svolgere dei test per diagnosticare il coronavirus.

L’OMS ha in programma di fornire il kit di diagnosi del coronavirus a 29 laboratori disseminati nel continente africano, in modo da poter avere una copertura più ampia possibile sull’area e di avere la capacità di “trattare” il virus anche sui campioni provenienti da altri Stati. L’obiettivo è quello di mettere in condizione di operare, entro la fine del mese, almeno 36 laboratori autosufficienti ad eseguire sia i test di individuazione del virus, sia le cure necessarie.

Ha dichiarato Michael Yao, che la capacità dei Paesi africani di diagnosticare correttamente i casi “dipende dai nuovi reagenti messi a disposizione dalla Cina e dall’Europa”.
Attualmente il numero delle vittime globali supera le 1700 unità; il portavoce del Ministero della Salute egiziano Khaled Mejahed, ha dichiarato che il caso riscontrato in Egitto è stato isolato e si è stati in grado di confermarlo, grazie ad un programma di follow-up istituito dal governo per i viaggiatori provenienti da Paesi in cui il virus si è diffuso. Le autorità hanno designato l’ospedale centrale di al-Negaila a Matrouh, nell’ovest del Paese, per mettere in quarantena i rimpatriati dalla Cina, molti dei quali sono studenti. L’Egitto ha ormai superato 100 milioni di abitanti, il più popoloso del mondo arabo; questo primo caso confermato, preoccupa i governi africani che venerdì a Bamako (Mali) hanno chiesto di rafforzare la cooperazione tra i loro Paesi per affrontare il coronavirus. Tuttavia si è consci che solo le inadeguatezze sanitarie non hanno ancora confermato nessun caso in Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) e ciò preoccupa molto per le conseguenze che potrebbero derivare dopo la comparsa del virus. Ha dichiarato il Ministro maliano Michel Hamala Sidibé, all’Afp (Agence France Press) dopo l’incontro di Bamako che: “Oggi non abbiamo casi comprovati nell’area Ecowas, ma con 380 milioni di persone nella nostra sottoregione, non abbiamo nemmeno i laboratori in grado di affrontare i casi in modo efficace”.

Intanto la Croce Rossa nigeriana ha allertato un milione di volontari; il suo Segretario Generale, Abubakar Ahmed Kende, ha affermato che la misura è volta a prevenire la possibile diffusione del virus nel Paese. In Tanzania, il Ministro della Sanità, Ummy Mwalimu, ha annunciato che i “centri di isolamento” sono stati localizzati nel nord, est e ovest del Paese.

Al momento la “reazione sanitaria di base” è incentrata sulla fornitura di un’enorme quantità di termometri, ma in un’area dove gli stati febbrili sono cronici causati anche e soprattutto dalla febbre di Lassa (Mastomys natalensis, ratto), la misurazione della temperatura sembra, malauguratamente, più una “lotteria” che una prevenzione.

Aggiornato il 17 febbraio 2020 alle ore 10:58