Il tormento Jihadista nell’area del Sahel

Le cronache che riferiscono il quotidiano tormento che affligge le popolazioni  dell’Africa sahariana e sub-sahariana, tendono ad assuefare la percezione del dramma. Come riportato in altri “contributi”, le forze che si scontrano in quell’area martoriata si dividono tra la volontà del “mondo” jihadista di consolidare lo Stato islamico del Grande Sahara (Isgs) e quella francese organizzata nella forza del Barkhane, che nasce nel 2014 con scopi anti-insurrezione nell’area del Mali, Burkina Faso, Niger, Mauritania e Ciad dove nella sua capitale, N’Djamena, risiede la base logistica.

Il campo “profughi” di Kaya nel Burkina, viene ogni giorno “gonfiato” da decine di sfollati disperati che stipano i ranghi dei miserabili presenti nella baraccopoli. I quotidiani attacchi jihadisti, ormai rientrati nella consuetudine giornaliera, non hanno più un significato di eccezione, ma rientrano in un ambito di una “lunga guerra” per la conquista di territori nella regione del Sahel. Alla fine della settimana scorsa, 18 residenti in una piccola località vicino a Bani, sono stati torturati ed uccisi, causando un clima di panico in tutta la regione. Queste vittime del jihadismo si sommano ad un’altra quarantina di civili massacrati alcuni giorni prima in un vicino villaggio.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, con esperienze e ruoli commissariali in Afghanistan nell’area palestinese e nei Paesi del Vicino Oriente, domenica 2 febbraio si è recato nel campo rifugiati di Kaya, dove riscontrando la tragica realtà sociale, ha sollecitato una mobilitazione massima in tutta l’area saheliana. Al termine della missione ha comunicato che: Nel Sahel, pensiamo al terrorismo, pensiamo alla migrazione, pensiamo a ciò che, in teoria, minaccia l’Europa. Ma il vero problema è qui, l'emergenza è qui, è qui che le persone soffrono, vengono uccise, donne violentate, bambini piccoli che non possono andare a scuola, è qui che dobbiamo intervenire prima che questa crisi diventi ingestibile. La “visita” dell’Alto Commissario, ribadisce e rafforza la consapevolezza delle concrete e ben note “analisi strategiche”, che rivelano che le forze di sicurezza del Burkinabé non sono in grado di confrontarsi con le organizzate e sempre più attrezzate milizie jihadiste dell’Isgs. Nemmeno il forte contributo di soldati stranieri, come quelli dell’operazione francese Barkhane, ha la possibilità di reagire efficacemente a tattiche di guerriglia non prevedibili da tutti i punti di vista. Intanto la Francia, nella speranza ed in attesa di aiuti militari e strategici internazionali, ha deciso di rafforzare il suo impegno militare inviando altri 400 legionari, truppe di veterani ed un cospicuo numero, oltre un centinaio, di veicoli corazzati che si dislocheranno nell’area dei tre confini Mali, Burkina Faso, Niger; inoltre sta giungendo nell’area un’ulteriore gruppo di circa 300 legionari, che porteranno l’impegno militare nel Sahel, ufficialmente ad oltre 5300 unità di “soldati” transalpini.

Il nemico che Parigi ed il G5Sahel devono fronteggiare è insidioso: combatte sotto la bandiera dello Stato islamico e con ideologie jihadiste salafite, ha collegamenti con tutti i gruppi terroristici di matrice islamica africani, come Al Qaeda, Al-Shabaab (operante in Somalia, Kenya ed Uganda e cellula di Al Qaeda), Boko Haram, attivo tra Nigeria, Niger, Camerun e Ciad, affiliato sia ai “residui” dell’Isis, che all’Isgs. L’obiettivo francese è quello di iniziare il lancio della task force europea Takuba (sciabola in lingua tuareg) la prossima estate. Ha dichiarato Florence Parly Ministro delle Forze armate francesi, che il 2020 sarà un anno di forte impatto nell’area del Sahara-Sahel, in quanto forze speciali dei Paesi europei saranno schierate insieme alle forze speciali francesi per portare un eccezionale know-how all’esercito del G5Sahel.

 Secondo le Nazioni Unite, gli attacchi jihadisti in Mali, Niger e Burkina hanno ucciso oltre 4mila persone nel 2019 e provocato una crisi umanitaria senza precedenti con 600mila sfollati e rifugiati in fuga dalle violenze. Solo l’Africa conta circa il 25% degli attacchi terroristici che avvengono nel mondo e dopo l’Asia è il continente più colpito dal terrorismo.

Il controllo del territorio da parte del’Isgs, permette a trafficanti, membri di vari gruppi armati, jihadisti, “forze speciali” e ad “imprenditori e faccendieri indipendenti”, di commerciare con l’area del sud ovest della Libia (Fezzan). Il mitico passaggio che unisce queste terre è chiamato “passo di Toummo” che va dal nord del Niger vicino al confine con l’Algeria verso la Libia. E’ una vasta area piuttosto che un passaggio, il cui tracciato, disegnato nella polvere e nella roccia, cambia costantemente ed è utilizzato da coloro che conducono i loro affari tra Africa, Europa e Paesi Arabi. Anche in questo caso, nell’impossibilità di un controllo “statale”, si celebra quel mercato globale africano più volte ricordato, composto da jihadisti, commercianti, mercenari, cammellieri, camionisti, che lontani da ogni autorità governativa, spostano denaro, tonnellate di cocaina che arrivava dall’Africa occidentale, hashish marocchino, ma anche jihadismo, armi, mezzi adibiti ad uso militare, benzina, frigoriferi, “schiavi”. Un vuoto di “controllo” assoluto, “riempito” di affari foraggiati anche da chi il “controllo” lo ha demolito (ricordando l’epoca gheddafiana).

Aggiornato il 07 febbraio 2020 alle ore 13:46