Sudafrica, a processo i carnefici dell’Apartheid

venerdì 31 gennaio 2020


I razzisti sono finiti al banco degli imputati. Per il Sudafrica è la prima volta nella storia.  Dal 1960 al 1990, nella “Security Branch” di Johannesburg, sono state torturate e uccise 73 persone. È stato il palazzo simbolo dell’Apartheid. Al decimo piano si trovavano le stanze per gli interrogatori. Il 28enne sindacalista e medico bianco Neil Aggett è morto in una cella, con una corda al collo. Naturalmente, il regime parlò di suicidio. Ora, grazie alla determinazione dei familiari, quel fascicolo è stato riaperto.

Il 27 novembre 1981 Aggett viene arrestato dalla polizia. Dopo un mese arrivano notizie di una possibile liberazione. Ma la notte tra il 4 e il 5 febbraio del 1982 viene trovato appeso a una corda nella cella. Per la sorella fu “una messa in scena perché sembrasse suicidio. È invece omicidio”. Il torturatore riconosciuto del distretto è Arthur Cronwright, maggiore del “Security Branch”. Barbara Hogan, una detenuta, lo ricorda come “Hitler. Così come era soprannominato da tutti. Cronwright aveva torturato anche Aggett. Io stessa avevo cercato di togliermi la vita per le torture subite. Ora è arrivato il tempo di parlare”.

La Commissione per la verità e la riconciliazione varata dal presidente Nelson Mandela non era servita a portare Cronwright al pentimento. L’uomo, morto otto anni fa, non ha mai chiesto perdono per i crimini commessi. Ma sarà imputato un altro esponente del “Security Branch”, che interrogò Hogan e Aggett. Si tratta di Nicolaas Johannes Deetlefs. Naturalmente, ha negato ogni responsabilità.


di Ugo Elfer