Libia, rotto “il cessate il fuoco”

Gli aeroporti di Tripoli-Mitiga, quello di Misurata e Benina, dopo la Conferenza di Berlino 2020 e nonostante l’embargo sulle armi ed “affini”, hanno ripreso in questi ultimi giorni una forte attività di “movimentazione” di “materiale ad uso bellico”. Durante queste “operatività” di aerei cargo negli aeroporti libici, vengono messi a disposizione dei belligeranti, come se a Berlino non si fosse parlato di embargo sulle armi, veicoli blindati, armi ancora più sofisticate, strateghi, consiglieri militari e combattenti. Tanto emerge da un comunicato della Missione delle Nazioni Unite in Libia, denominata Manul, dove si lamentano le flagranti e persistenti violazioni dell'embargo sulle armi, contravvenendo ai dettami della risoluzione 1970 del 2011 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonostante gli impegni assunti dai Paesi interessati, il 19 gennaio a Berlino.

La Libia dopo la deposizione di Muammar Gheddafi avvenuta nel 2011 è piombata in un caos globale, ma è diventata un mercato globale per gli interessi internazionali. Nonostante le varie “iniziative congressuali”, la situazione non sta migliorando; un fiorente mercato delle armi fornisce parallelamente le fazioni antagoniste, quella del “governo sindacaleGna, con sede a Tripoli (ovest) e riconosciuta dalle Nazioni Unite e Turchia e quella del maresciallo Haftar, Lna, il così detto “uomo forte della Libia orientale (Cirenaica)”, legata in modo articolato ad Emirati Arabi, Russia, Egitto ed altri Stati che “operano” mantenendo un “basso profilo”. Questa situazione mina il destino della dichiarata tregua, che praticamente e continuamente è infranta.

Nella “Conferenza di Berlino 2020” i Paesi partecipanti hanno anche garantito di astenersi da qualsiasi interferenza negli affari libici e da qualsiasi atto che possa esacerbare il conflitto, come la messa a disposizione di strateghi militari o il reclutamento di mercenari.

Ricordo che dal 4 aprile 2019, la guerra è alle porte di Tripoli: da questa data il Haftar ha lanciato un'offensiva sulla capitale, sede del Gna; da allora i combattenti vittime degli scontri sono stati oltre 2mila, più di 300 i civili e si è verificato un esodo di quasi 150mila libici; l’ingresso della Turchia nel conflitto con la “fornitura” di mercenari siriani ha ulteriormente aggravato la situazione.  

Dal 12 gennaio su iniziativa di Mosca e Ankara, è stato istituito un cessate il fuoco, non sottoscritto da Haftar che non intende ritirasi dagli avamposti conquistati intorno e dentro Tripoli; le due parti si accusano reciprocamente di violazione degli accordi, ma ovviamente l’incremento della fornitura di armi che sta avvenendo dopo “Berlino”, denota che a nessuno interessa particolarmente che tale tregua regga.

La “relazione” della missione Manul (Onu), sottolineando che questa serie di pseudo accordi di tregua armata sono una speranza per i tripolini, rivelano anche la continua presenza di mercenari, sia miliziani siriani di espressione turca che i mercenari Wagner di espressione russa ed il traffico di armi, munizioni e sistemi avanzati di guerra, da parte di alcuni Stati, senza identificarne l’identità, ma molti dei quali hanno partecipato alla conferenza di Berlino; tutto ciò favorisce l’incendiarsi delle tensioni.

Amine al-Hachemi, portavoce del Ministero della Salute del Gna, ha dichiarato che sabato nuovi scontri alla periferia di Tripoli hanno procurato almeno un morto e sette feriti civili; aggiunge il Manul che le continue violazioni” degli accordi di Berlino e Istanbul rischiano di far precipitare il Paese in una nuova spirale di intensi combattimenti, scoprendo, come era prevedibile, che la Conferenza di Berlino a poco è servita.

Il rischio che la crisi libica possa avere un escalation è aggravato dalle reali preoccupazioni causate dal possibile crollo dell'economia a causa della cessazione delle esportazioni di petrolio, l'unica fonte di reddito della Libia in generale e della Cirenaica in particolare. Il 18 gennaio, alla vigilia del vertice internazionale di Berlino, le forze pro-Haftar hanno bloccato i principali terminali e giacimenti petroliferi nell'est e nel sud della Cirenaica, causando un drastico calo della produzione che, secondo un bollettino della National Petroleum Company (Noc), fa ammontare le perdite a oltre 300 milioni dollari, con una drammatica ripercussione sull’economia sia del Paese che dell’economia petrolifera” globale.  

Per contro le ambasciate del Regno Unito, degli Stati Uniti e della delegazione dell'Unione europea in Libia, hanno chiesto nei giorni scorsi una “immediata ripresa delle attività petrolifere”, avvertendo del rischio di peggioramento della situazione umanitaria.

L’inversione geopolitica nel Mediterraneo orientale, conclamata paradossalmente a Berlino il 19 gennaio, è stata favorita dalla riunione dell'8 gennaio ad Istanbul tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ed il capo del Cremlino Vladimir Putin; ormai gli interlocutori sia di al-Sarraj che di Haftar, sono i turchi e i russi. L’antagonismo sul campo libico tra Erdogan e Putin, ad una più attenta analisi, palesa invece una complicità: ad Istanbul i due Leader hanno mostrato la loro “affinità di intenti”, quando hanno annunciato il lancio di TurkStream, un gasdotto che collega la Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero.

Quindi tra interessi energetici accordati tra al-Sarraj ed Erdogan, sulla fascia di mare che unisce la Turchia alla Libia e gli accordi sul gasdotto russo-turco, l’inversione” non è solo geopolitica ma globale, dove l’influenza sulla Libia” e l’antagonismo tra gruppi di mercenari”, appare solo come una volontà di fuorviare l’attenzione dai veri interessi che probabilmente non sono umanitari o di pace, ma meglio economico-politici.

Aggiornato il 28 gennaio 2020 alle ore 12:04