Summit Africa-Regno Unito: come può influire la Brexit sul continente africano

Il 20 gennaio a Londra, in previsione della Brexit, si è tenuto un summit Regno Unito-Africa su scala raramente così ampia. Boris Johnson ha dato così l’avvio ad una serie di “relazioni internazionali” con l’Africa, finalizzati a rafforzare ed aprire canali commerciali e di investimento in modo autonomo ed “in teoria” senza filtri o “catene” con l’Unione europea. Intorno al summit di Londra, come riferisce il capo gabinetto del primo ministro britannico, erano presenti ventuno Paesi africani di lingua inglese, portoghese e francofona e sono stati sottoscritti undici accordi commerciali, per un budget complessivo di oltre 7,5 miliardi di euro.

Questo incontro Africa-Regno Unito fa chiaramente parte di un piano strategico britannico in attesa del 31 gennaio data della ufficializzazione dell’uscita dall’Unione europea dopo quarantasette anni di convivenza mai troppo “passionale”. Va ricordato che il Regno Unito è stato sempre euroscettico (soprattutto con i fondatori) e dopo avere lasciato nel 1972 l’Efta, European Free Trade Association, (rivelatasi non competitiva rispetto alle Comunità europee), di cui era fondatore e membro, è stato “accettato” nella Comunità economica europea solo nel 1973 dopo scettici negoziati iniziati nel 1969 quando il presidente francese Georges Pompidou, succeduto a Charles de Gaulle, non pose più ostacoli all’istanza dell’allora governo laburista di Harold Wilson.

Nel 1973 con al governo i conservatori del primo ministro Edward Heath, si conclusero gli accordi d’ingresso alla Cee. Oggi il Regno Unito si sta nuovamente svincolando dagli indigesti e onerosi contributi ed obblighi necessari per essere “membri” del “Club service Europa” ed è alla ricerca di nuovi partner commerciali in un’area sempre attraente e forse in questi ultimi decenni non “curata” a dovere. Di fronte ai 16 leader dei 21 Paesi rappresentati in questo primo incontro incentrato sugli investimenti, Boris Johnson ha rafforzato e garantito, ai suoi connazionali, che attiverà tutti gli strumenti politici e diplomatici al fine di creare un legame, con ampi orizzonti, con l’Africa.

Dall’incontro sono scaturite alcune linee guida che verosimilmente saranno la traccia da seguire in questo non semplice accordo; uno degli aspetti può riferirsi all’ambito sociologico, in quanto il primo ministro conservatore ha dichiarato che metterà fine “all’assistenza allo sviluppo”, dirigendo le risorse più sulla “crescita”; inoltre Boris Johnson ha sottolineato la sua sensibilità circa i cambiamenti climatici e a breve comunicherà un’inversione di tendenza del suo Paese per quello che riguarda lo sfruttamento termico delle miniere di carbone e delle centrali elettriche a carbone. Dopo la Brexit il Regno Unito vuole rilanciare gli scambi con l’Africa, ma mentre il vertice commerciale tra Regno Unito e Africa “getta le fondamenta”, si sollevano interrogativi sull’obbligo del rispetto del “triangolo degli articolati accordi-relazioni” già in essere tra Unione europea, Regno Unito ante Brexit ed Africa.

Decisamente i negoziati commerciali per attivare questi accordi sono molto complicati: una volta che il Regno Unito lascerà l’Unione europea alla fine di gennaio, ci vorranno 11 mesi per concludere un accordo commerciale con l’UE al fine di evitare la riattivazione delle norme imposte dall’Omc (Organizzazione mondiale del commercio). Boris Johnson e i suoi sostenitori hanno sempre ostentato i vantaggi di lasciare l’Ue, compresa la capacità di negoziare i propri accordi commerciali direttamente e alle proprie condizioni, ma la libertà di agire negozialmente deve essere legata a “compromessi” necessari per raggiungere gli obiettivi e per adattarsi alle politiche concordate.

In questo clima di “ostentato ottimismo relativo” il segretario di Stato per lo Sviluppo internazionale, Alok Sharma, ha affermato che “le relazioni della Gran Bretagna con l’Africa saranno in modalità turbo, con accordi commerciali, affari e investimenti in tutto il continente”. Sicuramente il vertice di Londra è un “test” di “neo politica commerciale estera”, nella consapevolezza che un qualsiasi potenziale cambiamento delle attuali condizioni commerciali è lungi dal poter essere applicato, considerando che il Regno Unito sarà ancora membro dell’Unione doganale e del mercato unico dell’Ue fino alla fine dell’anno e che le relazioni commerciali tra il Regno Unito e l’Africa rimarranno le stesse per il 2020, ai sensi dei vari accordi esistenti tra l’Ue e il continente africano.

Dopo il 2020, gli accordi commerciali tra molti paesi africani ed il Regno Unito resteranno invariati in base a numerosi “accordi di continuità” che stabiliscono le tariffe, le condizioni commerciali, le quote, gli standard e tutti i “sistemi economici” collegati, che devono restare invariati tra i Paesi africani, i “blocchi commerciali” e l’Ue. Il segretario di Stato per il commercio internazionale e presidente del Board of Trade, Liz Truss, ha dichiarato che l’accordo “consentirà alle aziende di continuare a commerciare dopo la Brexit senza ulteriori ostacoli” e che il Regno Unito ha stipulato circa 40” accordi di continuità”, che coprono quasi 70 Paesi.

Inoltre il Regno Unito è stato autorizzato a concludere tali accordi con Paesi che hanno già concluso accordi simili con l’Ue, consentendogli di negoziarne nuovi con coloro che non hanno ancora concluso un accordo commerciale con l’Ue. Quando gli “accordi di continuità” si esauriranno sarà a questo punto che emergeranno le reali opportunità, i “confronti” e le “sfide” per gli Stati africani, considerando che al di fuori dell’Ue, il Regno Unito, ha tecnicamente un potere contrattuale più debole, ciò potrebbe significare che i Paesi africani che hanno relazioni commerciali con il Regno Unito potrebbero essere in grado di avere “potere negoziale” più favorevole. Personalmente ritengo difficile prevedere cosa potrebbe accadere, ma tale “breve quadro” mostra la complessità dei negoziati commerciali globali e l’incertezza rimane un fattore influente nonostante “l’ostentazione di sicurezza britannica” per contrastarla e l’incertezza è nemica degli investimenti.

Aggiornato il 23 gennaio 2020 alle ore 11:23