Libia, poche novità da Berlino

La foto è di quelle solenni: i vertici di 11 Paesi in posa per la prima fila, il Segretario generale delle Nazioni Unite, lo Speciale Rappresentante per la Libia. Tutti riuniti attorno ad un tavolo a Berlino ove, sottratto il ruolo a Mosca, si è cercato di delineare il prossimo futuro della Libia mediante un percorso che sostanzialmente ripercorre i tentativi che numerose analoghe conferenze hanno già esplorato.

Il punto di partenza è quel “cessate il fuoco” che da quando una settimana fa con fatica è stato raggiunto non ha fatto più registrare scontri significativi sul terreno libico.

Un buon auspicio per il buon esito della conferenza è stata anche la decisione per nulla scontata di Haftar di partecipare. Decisione sicuramente assunta a seguito dell’endorsement di Donald Trump, che dopo un lungo disinteresse per il Mediterraneo si è esposto inviando alla conferenza Mike Pompeo, rappresentante al più alto livello.

Alla conferenza che di europeo ha avuto solo la sede gli attori principali oltre a Pompeo e al Segretario generale António Guterres sono stati Vladimir Putin, Recep Tayyip Erdoğan, Boris Johnson, Angela Merkel, Giuseppe Conte, Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen, al-Sisi, Aboulgheit (Lega Araba), Faki Mahamat (Unione Africana), Al Nayan (Eau), Abdelmadjid Tebboune (Algeria), Denis Sassou Nguesso (Congo).

Lo sconosciuto Borrel, alto rappresenatnte dell’Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, presente all’evento pare non sia stato incisivo nelle trattative.

La Grecia, sostenitrice di Haftar a fianco dell’Egitto, ha espresso disappunto per non essere stata invitata al tavolo.

Al di là degli schieramenti – Stati Uniti ed Egitto a sostegno di Haftar, Turchia (Cina) ed Eu, in particolare la Germania, a sostegno di Sarraj, Russia e Francia con posizioni non chiarissime – è stato raggiunto l’accordo su un documento comune.

Il testo composto da 55 punti, oltre a confermare il “cessate il fuoco” in atto, prevede l’impegno delle Parti a pervenire ad un nuovo schema di governo rappresentativo di tutto il Paese, la smobilitazione e il disarmo delle milizie, l’embargo sulle armi, l’unificazione dell’apparato di sicurezza, l’impegno a combattere il terrorismo, il rispetto dei diritti umani, il ripristino delle strutture economiche e un meccanismo di “follow up”.

Nell’accordo non vi sono riferimenti ad un coinvolgimento dell’Unione europea per monitorare il cessate il fuoco con una missione specifica e tale compito dovrà essere devoluto ad una speciale Commissione.

Sostanzialmente il documento non sembra innovativo in quanto molte misure richieste sono già contenute nella risoluzione 1970 del 2011 che tra l’altro poneva nei confronti della Libia l’embargo sulla esportazione e sull’importazione di forniture di armi e materiale bellico di ogni tipo e istituiva la Missione di Supporto delle nazioni Unite in Libia (Unsmil). Quest’ultima, di natura esclusivamente politica, venne istituita con lo scopo di supportare il Paese nel periodo post conflitto a realizzare gli obiettivi necessari per il raggiungimento dell’ordine democratico promuovendo il dialogo e lo stato di diritto. L’Unsmil tuttora esiste, è stata prorogata sino al settembre 2020 e continua a tentare di raggiungere gli obiettivi mediante il dialogo.

Dialogo che ancora una volta viene proposto al termine di una conferenza che già prelude ad una ulteriore conferenza.

Ovviamente si spera che il coinvolgimento dei più autorevoli leader mondiali possa produrre una crescente stabilizzazione anche solo con il dialogo ma il teatro libico, più di ogni altro, è la dimostrazione di come talune situazioni possano essere risolte solo con i “boots on the ground”, cioè inviando forze militari sul terreno per far rispettare le condizioni, in quanto le misure sino ad ora adottate sino ad ora si sono rivelate poco incisive.

Aggiornato il 20 gennaio 2020 alle ore 12:42