Vento di libertà in Iran, Iraq e Libano

Non c’è dubbio che l’Iran è il cuore pulsante del Medio Oriente e ciò che accade in questo antico Paese influenza direttamente tutta la Regione. Sin dai tempi del governo democratico di Mossadeq, che nazionalizzò l’industria del petrolio iraniano tirandola fuori dalle avide grinfie del vecchio colonizzatore, la Gran Bretagna, gli altri Paesi della Regione guardano all’Iran. La nazionalizzazione del canale del Suez fatta da Nasser fu una conseguenza della politica di Mossadeq.

Nell’estate del 2009, in seguito al colossale imbroglio elettorale, milioni di iraniani, sfruttando l’attimo di distrazione della spietata macchina repressiva del regime, sono scesi in piazza con lo slogan “Dov’è il mio voto?”. Moussavi e Karroubi, alla testa di quella protesta ma appartenenti al corpus del regime, non potevano naturalmente guidare il seguito della protesta che metteva in dubbio l’esistenza stessa del regime. Per la natura reazionaria del regime iraniano e per le istanze democratiche del popolo, ogni movimento di protesta di natura economica o sociale diventa immediatamente una protesta politica; e poiché il regime teocratico non è voluto dalla popolazione, è fragile, e ogni movimento di protesta in Iran diventa un problema di sicurezza per il regime. Dopo pochi giorni Moussavi e Karroubi hanno abbandonato il popolo nelle piazze e effettuato una ritirata strategica. Khamenei li ha costretti all’arresto domiciliare e la loro bega è diventata domestica. La protesta è comunque proseguita per settimane e mesi portata avanti da un numero minore e più audace di persone. Lo slogan “Dov’è il mio voto?” s’è trasmutato in “Morte al dittatore!” e il regime ha tenuto, potendo amministrare la crisi. Siamo negli anni 2009-2010.

Il 17 dicembre 2010 un ambulante e attivista tunisino, Mohamed Bouazizi, s’è dato fuoco di fronte al palazzo del comune per protesta contro la confisca della suo piccolo carretto di prodotti ortofrutticoli. Bouazizi muore il 4 gennaio e dopo la sua immolazione il suo tragico gesto si ripete in Egitto, Siria, Algeria e Mauritania, e scuote le coscienze. La brezza della Primavera araba inizia a soffiare nei Paesi arabi assetati di libertà e giustizia. Però soffiava lì un altro vento, un vento malefico, già da anni in Medio Oriente: l’integralismo islamico, che minacciava le istanze democratiche fino ad ucciderle.

Le analisi di questi eventi le affidiamo ai sociologi e agli storici, ma non possiamo non accorgerci della somiglianza tra ciò che è passato ai media come “Movimento verde” e “Primavera araba” e il fenomeno che ha sconfitto entrambi: l’integralismo islamico col suo cuore a Teheran. Per comprendere meglio basti osservare lo svolgimento della Primavera araba in Siria, dove i pasdaran iraniani sono intervenuti direttamente seminando oltre 500mila caduti.

Alla fine di dicembre 2017 in Iran è scoppiata una rivolta popolare contro il carovita, e naturalmente in pochissimo tempo s’è estesa a più di 150 città e le istanze e gli slogan sono diventati politici. Il popolo della strada, che ha la sua intelligenza, ha trasmutato lo slogan “Morte al dittatore!” nello slogan più analitico “Riformista, oltranzista, è la vostra fine!”, per chiudere anche la bocca di chi in Occidente continuava, sebbene stancamente, a dar fiato al ridicolo e malefico balletto tra riformisti e oltranzisti nel seno del regime totalitario iraniano. Questo slogan, che sanciva la fine del regime in Iran, bollava anche la fine della becera politica di appeasement adottata soprattutto dall’Unione europea. In questa breve nota non parliamo della maturazione del processo di protesta, espresso negli slogan sulle strade. Ricordiamo solo che nulla avviene per caso, nemmeno in Iran. Insomma, gli iraniani hanno già messo in un angolo il regime teocratico, incapace, corrotto e repressivo, al potere dal ’79. In Occidente diventava più difficile, forse, stringere le mani insanguinate degli uomini del regime.

Dall’inizio di ottobre in Libano e in Iraq, dove la massiccia presenza degli uomini del regime iraniano è asfissiante, sono scoppiate le proteste contro la corruzione e la prepotenza dei burattini locali, ma soprattutto contro il loro burattinaio. Una fiumana umana in Libano e in Iraq, soprattutto nelle zone sciite completamente in mano al regime iraniano, ha rivolto la sua rabbia contro le colossali ingerenze del regime iraniano in quei Paesi. Al contrario del passato, i manifestanti arcobaleno hanno tolto gli argomenti tanto amati dagli analisti occidentali e fatto scoprire, forse, che il problema del Medio Oriente non è la religione, ma si tratta soltanto del divide et impera!

Ora, dal 15 novembre gli iraniani sono in piazza contro la triplicazione del prezzo della benzina, ma dopo i primi momenti, dovunque è palpabile la voglia di rovesciare questo maledetto ordine. Il regime sanguinario senza indugi spara e spara direttamente alla testa e alla nuca della gente che non ha più nulla da perdere che le sue catene. Finora almeno 200 morti ed oltre 3mila feriti. Il corso della rivolta popolare con istanze democratiche da Beirut a Baghdad fino a Teheran è difficile che si fermi. I manifestanti dei tre Paesi solidarizzano tra loro, avendo individuato la testa del serpente. Khamenei, che di solito attendeva la direzione degli eventi, ha parlato dopo due giorni ed ha sostenuto la decisione di aumentare il prezzo dei combustibili. Khamenei ha, come sempre, accusato i Mojahedin del popolo di essere gli artefici e di fomentare la rivolta. È vero, il rovesciamento della dittatura religiosa in Iran, come unica via d’uscita per porre fine alle sofferenze degli iraniani e degli altri popoli mediorientali, da decenni fa parte della piattaforma della Resistenza Iraniana. E così sia!

Aggiornato il 20 novembre 2019 alle ore 13:25