Hong Kong, Carrie Lam punta alla “soluzione pacifica”

Carrie Lam prova ad usare “l’arma” del dialogo. La governatrice di Hong Kong si è detta “molto preoccupata per la pericolosa situazione” del Politecnico assediato dalla polizia, puntando ad avere “una soluzione pacifica” per superare lo stallo.

La Lam ha assicurato che non c’è la necessità di chiedere aiuto all’Esercito di liberazione popolare, le forze armate di Pechino, fino a quando il suo governo e la polizia riusciranno a gestire con competenza le violente turbolenze nella città. In conferenza stampa, la Lam ha invitato i cittadini a “non dare interpretazioni eccessive” al gesto dei soldati cinesi che sabato hanno aiutato a rimuove mattoni e detriti dalle strade. Un gesto che la Lam ha definito “non inconsueto”.

Sono circa 30 i manifestanti che hanno lasciato questa mattina il Politecnico di Hong Kong, sotto l’assedio della polizia da oltre due giorni. Secondo il network pubblico Rthk, gli studenti si sono arresi alla polizia intorno alle 10 (le 3 in Italia), chiedendo aiuto al personale paramedico che ha fornito coperte d’emergenza e sedie a rotelle. Quasi contestualmente, la governatrice ha detto in conferenza stampa che oltre 100 persone erano ancora arroccate nel campus, mentre 600 erano andate via, tra cui 200 minori.

La resa senza condizioni annunciata dalla polizia include l’immediato arresto una volta usciti dalla struttura, ma la governatrice ha detto che i manifestanti con meno di 18 anni sarebbero stati solo identificati, senza escludere possibili indagini future. Per i 400 residui, invece, sono scattate subito le manette. “Useremo ogni strumento possibile per continuare a convincere e a organizzare per quanti sono rimasti l’uscita dal campus il prima possibile in modo che tutta la vicenda possa finire in modo pacifico”, ha aggiunto la governatrice. A tal proposito, “l’obiettivo può essere raggiunto solo con la piena cooperazione dei manifestanti: i rivoltosi devono fermare la violenza, lasciare le armi e seguire le indicazioni della polizia”.

La Cina rivendica l’autorità esclusiva sulle questioni costituzionali di Hong Kong e condanna la decisione dell’Alta Corte dell’ex colonia che ha giudicato ieri l’incostituzionalità del divieto di indossare le maschere in pubblico, varato lo scorso mese per frenare le manifestazioni di massa. “Nessun’altra istituzione ha il diritto di giudicare o di prendere decisioni se non il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo”, ha commentato in una nota Zang Tiewei, portavoce della Commissione Affari legislativi.

Intanto, sempre l’Alta Corte di Hong Kong ha respinto il ricorso di Joshua Wong, attivista di punta pro-democrazia, contro la richiesta di espatrio per un viaggio in Europa a causa del pericolo di fuga. Lo riferisce un post sull’account di Telegram di Demosisto, il partito da lui co-fondato. Wong, libero su cauzione da fine agosto, è sotto indagine per la partecipazione a manifestazioni non autorizzate.

Wong avrebbe dovuto recarsi anche in Italia, ospite il 27 novembre a Milano della Fondazione Feltrinelli. Wong contava sul via libera della Corte al viaggio, in linea con quanto concessogli di recente per andare a Taiwan, in Germania e negli Usa, per poter raggiungere sei Paesi europei: Italia, Francia, Belgio, Svizzera, Germania e Gran Bretagna, con inviti di peso, tra audizioni parlamentari e discorsi in vari eventi.

Tuttavia, il primo stop dell’8 novembre non è stato ribaltato in appello. Demosisto ha notato che la Corte ha asserito che gli inviti fatti a Wong, tra audizioni e incontri di vario tipo, non richiedevano necessariamente la sua presenza fisica, ventilando l’ipotesi di messaggi registrati o in video conferenza. Il giudice ha detto anche le circostanze a Hong Kong sono cambiate e che Wng avrebbe fatto meglio a restare nella città invece di fare “sforzi all’estero per aiutare Hong Kong”.

E Joshua Wong contesta il divieto all’espatrio confermato dall’Alta Corte di Hong Kong: “Privandomi della libertà di movimento, la Corte ha imposto una punizione aggiuntiva prima che sia provata la colpevolezza”, ha detto l’ex leader del Movimento degli ombrelli del 2014 in un commento sui social. “È chiaro che il modello ‘un Paese, due sistemi’ sia vicino al collasso e sforzi concordati sono necessari per aiutare Hong Kong”, ha poi aggiunto Wong, assicurando che continuerà a chiedere il sostegno internazionale.

Aggiornato il 19 novembre 2019 alle ore 13:53