Yemen: una guerra dimenticata

martedì 19 novembre 2019


La guerra civile in Yemen ormai si trascina da più di quattro anni e ha provocato oltre diecimila morti. È un conflitto che ha poca audience e, pertanto, se ne parla solo in occasione di tregue e accordi di pace spesso sottoscritti ma mai rispettati o quando le stragi di civili superano i limiti di tolleranza anche dei più assuefatti commentatori.

Ebbe inizio nel marzo 2015 quando il presidente Abdrabbuh Mansur Hadi, eletto presidente nel 2012 dopo trent’anni di guida del Paese di Ali Abdullah Saleh, venne deposto da un colpo di Stato da parte delle milizie dei ribelli sciiti Houthi e costretto a riparare ad Aden, nel sud del Paese, continuando a rivendicare la presidenza.

Da quel momento è iniziato lo scontro tra gli Huthi fedeli all’ex presidente Saleh, che controllano la capitale Sana’a e le forze leali al governo regolarmente eletto di Hadi, con sede ripiegata ad Aden.

Un’offensiva Huthi volta a prendere Aden costrinse il presidente Hadi a fuggire in Arabia Saudita, Paese amico che non tardò ad intervenire militarmente a suo favore per restaurare il deposto governo. Iran ed Eritrea sono stati accusati di fornire addestramento e sostegno logistico agli insorti Huthi mentre Stati Uniti e monarchie del Golfo Persico hanno offerto aiuti sostanziali al governo di Hadi. Offensive da parte di entrambi gli schieramenti hanno talvolta tracimato in tremende stragi di civili e in attacchi indiscriminati attacchi a scuole e ospedali.

All’interno del conflitto non internazionale gli Huthi hanno poi represso senza scrupoli ripetuti sollevamenti popolari nella capitale Sana’a dovuti alle precarie condizioni di vita e alla mancanza di beni di prima necessità.

I risultati dei primi anni di guerra sono stati comunicati a fine dicembre 2018 dall’inviato speciale dell’Onu, Mark Lowcock: 18,5 milioni di yemeniti che soffrono la fame, epidemia di colera in costante diffusione, decine di migliaia di feriti privi delle cure necessarie.

I colloqui di pace a Ginevra nel settembre 2018 e l’accordo di Stoccolma nel gennaio di quest’anno hanno sortito una tregua, la quarta, ma non un risultato definitivo a causa del rifiuto degli Huthi di lasciare Sana’a senza sufficienti garanzie per la propria incolumità. Gli attacchi di questi ultimi a giugno contro aeroporti civili in Arabia Saudita non hanno lasciato ben pronosticare un consolidamento del cessate il fuoco.

In agosto un altro fronte si è aperto nel sud del Paese. Le Forze secessioniste del sud, presenti sin dagli inizi degli anni duemila, rappresentate dal Consiglio di Transizione Meridionale sostenuto dagli Emirati volevano instaurare lo Stato Federale Indipendente del Sud. A tal fine hanno preso Aden, la capitale provvisoria, dopo violenti conflitti con le Forze del presidente Hadi.

L’accordo di Riad sottoscritto nei giorni scorsi riguarda solo questa parte del conflitto in Yemen e ha raggiunto il risultato di porre fine alla lotta al potere nel sud del Paese includendo i rappresentanti delle forze secessioniste nel nuovo governo e i capi militari nelle forze armate unificate. L’accordo ha consentito altresì un riavvicinamento tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU) i cui fronti si erano spaccati per il differente sostegno fornito alle forze in campo.

L’accordo di Riad, ovviamente ben accolto dall’Onu, è pertanto solo un parziale successo nel complesso puzzle yemenita che vede il fronte principale ancora aperto e, purtroppo, lontano dai riflettori dei media internazionali. Gli scontri tra gli Houthi di Sana’a e le Forze del presidente Hadi di Aden continuano e i bombardamenti da parte dei loro sponsor anche. Attendiamo la prossima tregua per valutare la situazione.


di Ferdinando Fedi