Il fiorente “mercato delle armi” nel Sahel

Il 12 novembre, al Forum per la Pace di Parigi, Emmanuel Macron ha comunicato che presto verranno annunciate le decisioni adottate per fronteggiare le azioni “terroristico-militari” dei gruppi jihadisti del Sahel. La “questione” principale è quella di riconquistare il controllo della cosiddetta zona dei “tre confini”: Burkina Faso, Mali e Niger, dove i miliziani del Jihad si stanno radicando e stanno consolidando le loro posizioni, delimitando, sempre con maggiore padronanza, i confini dello Stato islamico nel Grande Sahara (Isgs). I jihadisti stanno intensificano le loro attività militari prevalentemente contro gli eserciti locali, totalmente in balia degli attacchi ed incapaci di contenere le offensive “miliziane”.

Alla luce di questo preoccupante e drammatico “quadro” e ravvisata l’inderogabile urgenza di provvedere quantomeno ad ostacolare l’espansione dell’Isgs, Emmanuel Macron, durante l’incontro con i tre suoi omologhi del Ciad, del Mali e del Niger, ha tracciato un programma di “reazione” alla minaccia islamica. Riferisce in un comunicato il presidente francese, che l’incontro ha permesso: “di fare passi avanti sotto l’aspetto della sicurezza in ciascuno di questi Paesi”… “Credo che abbiamo iniziato a definire decisioni, che saranno rese esecutive la prossima settimana, per concentrare le ‘Forze congiunte’ nella zona centrale compresa tra il Niger, il Mali ed il Burkina Faso”. Secondo una fonte “informata” sul “dossier Macron”, le varie parti interessate hanno concordato l’esigenza da dare all’area dei “tre confini” la priorità di intervento: “Dobbiamo sistematizzare la presenza militare in quest’area”. Va tuttavia ricordato che l’esercito malese, alcuni giorni fa, si è ritirato all’interno dei confini del Niger a seguito di una sconfitta conseguita con le milizie dell’Isgs.

La complessità delle “mediazioni” tra Francia e gli “alleati africani” è tuttavia evidente, infatti tra le “parti” interessate, cioè i membri della Forza congiunta G5 Sahel (G5S Fc: Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad), il Ciad avrebbe dato la disponibilità a prendersi le responsabilità dell’operazione, mettendo a disposizione le proprie risorse militari a patto di una collaborazione con il Barkhane (operazione franco-maliana anti-insurrezione nel Sahel).

Il “problema di tale strategia” attualmente ha due “fronti di discussione”: il primo è chi deve coordinare le “Forze congiunte (africane)”; attualmente circa 1.600 soldati del Ciad sono schierati in Mali, ma sotto la bandiera delle Nazioni Unite, il Minusma (missione multidimensionale di stabilizzazione integrata delle Nazioni Unite in Mali), che conta 12.500 soldati; il secondo “fronte di discussione” è che il Minusma persegue una missione di mantenimento della pace e non la lotta contro i jihadisti.

Inoltre il Ciad fa parte delle “Forze congiunte del G5 Sahel” dove partecipa con altri circa 5mila uomini, ma la sua area di azione è più ad est sul confine tra Niger e Ciad. Va considerato che Idriss Déby, presidente del Ciad, da tempo minaccia di ritirarsi dal Mali se i finanziamenti internazionali destinati al G5 Sahel non verranno erogati al più presto; tali finanziamenti sono destinati all’acquisto, sul “lecito” mercato internazionale, di armi adeguate a fronteggiare i “concorrenti” jihadisti che attingono gli armamenti “in note coordinate geografiche” nel Fezzan (Libia).

Martedì 12 il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha relazionato, in un rapporto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il rammarico “della persistente mancanza di attrezzature e formazione” della Forza congiunta G5S, augurandosi che la comunità internazionale dia “maggiore sostegno” agli Stati saheliani. Tuttavia, risulta che dietro “le quinte” delle relazioni internazionali i diplomatici occidentali esprimono critiche verso la vacuità di molte riunioni tra i partner africani e la mancanza di volontà e d’impegno politico delle autorità locali, soprattutto del Mali e del Burkina Faso, nell’affrontare una “criticità comune”.

In tutte queste articolate mediazioni che hanno come apparente scopo finale quello della lotta all’espansionismo dello Stato islamico nel Grande Sahara, quello che sembra imprescindibile è il ruolo centrale della Francia nel Centro Nord Africa, che se spesso criticata dai vari capi di governo degli Stati dell’Area, è sempre il più importante punto di riferimento “post coloniale” a cui appoggiarsi.

In questa ottica di “cooperazione proficua”, previa una serie di accordi tra il presidente senegalese Macky Sall e Emmanuel Macron, domenica 17 sono stati sottoscritti a Dakar una serie di contratti per la fornitura al Senegal di tre pattugliatori offshore OPV 58 per circa trecento milioni di euro, venduti dal gruppo francese Kership, una joint venture del gruppo Piriou e Naval e di missili forniti dal gruppo europeo con base in Francia, Mbda; inoltre il governo del Senegal acquisterà anche dodici cacciamine dal Belgio e dai Paesi Bassi.

Nell’ambito degli accordi franco-senegalesi approvati domenica, c’è anche un prestito di 50 milioni di euro, finanziato dell’Agenzia Francese per lo Sviluppo, finalizzato a “una gestione efficace delle finanze pubbliche e una migliore trasparenza del bilancio”; ma la “bonifica socio-economica” prevede anche la cooperazione tra i rispettivi Ministeri della Cultura che dovrebbe ottimizzare la circolazione delle opere d’arte ed un programma di formazione per la conservazione e la gestione dei musei; inoltre sono previsti ulteriori impegni finanziari francesi a sostegno dello sviluppo delle attività economiche ed industriali legate alla cultura anche con la creazione di una strategica industria cinematografica.

È facile “leggere” in queste dinamiche geo-economiche e geo-strategiche una forma conclamata di neocolonizzazione, verosimilmente oggi utile e ricordare il film di Alberto Sordi “finché c’è guerra c’è speranza”.

Aggiornato il 19 novembre 2019 alle ore 11:45