La fragile economia iraniana e i pericoli per il Medio Oriente

Continua a stupire l’analisi internazionale sulla fragilità economica della Repubblica dell’Iran. Un barile di petrolio iraniano dovrebbe costare 194,6 dollari per pareggiare il suo bilancio nel 2020. Danneggiato dalle severe sanzioni statunitensi, riporta il Global Committee for the Rule of Law, l’Iran, membro dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), dovrebbe avere un deficit fiscale del 4,5 per cento quest’anno e del 5,1 per cento nel 2020. Analisi confermate e sviscerate dal Fondo monetario internazionale (Fmi), il 28 ottobre. Il primo novembre il benchmark internazionale Brent ha chiuso le negoziazioni a poco più di 62 dollari al barile. Con le nuove sanzioni introdotte dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è ritirato dall’accordo sul nucleare iraniano, nel 2018, l’economia iraniana dovrebbe ridursi del 9,5 per cento quest’anno, rispetto a una stima precedente di una contrazione del 6 per cento.

Mentre la crescita del Prodotto interno lordo reale dovrebbe rimanere ferma a zero. Un calo della valuta iraniana a seguito della reimpostazione delle sanzioni ha interrotto il commercio estero dell’Iran e ha aumentato l’inflazione annuale, che l’Fmi prevede al 35,7 per cento quest’anno e al 31 per cento l’anno prossimo. Quindi le autorità iraniane dovrebbero allineare il tasso di cambio ufficiale al tasso di mercato per controllare l’inflazione. L’Fmi prevede che le esportazioni iraniane di beni e servizi scenderanno a 60,3 miliardi di dollari quest’anno, da 103,2 miliardi dell’anno scorso e scenderanno ulteriormente a 55,5 miliardi di dollari nel 2020.

Nonostante l’economia domestica a pezzi e la necessità di avviare riforme sociali, economiche, politiche e infrastrutturali, il regime iraniano continua a sperperare i fondi pubblici per sostenere terrorismo e ad intraprendere iniziative per generare interferenze in altri stati. Il rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Iran, Brian Hook, ha recentemente dichiarato alla televisione saudita Al Arabiya TV che l’Iran avrebbe speso 16 miliardi di dollari per mantenere le sue milizie in Iraq e Siria. Durante l’intervista ha confermato che Washington avrebbe continuato a imporre sanzioni a Teheran, notando che a seguito di questa misura, le esportazioni di petrolio dell’Iran sono diminuite da 2,5 milioni a 120mila, “segnando il crollo dell’industria petrolifera”. Hook ha poi aggiunto che le sanzioni statunitensi hanno colpito anche i settori petrolchimico, industriale e dei metalli preziosi.

In Italia, da sempre, è l’Ambasciatore Giulio Terzi a richiamare l’attenzione sulle scelte iraniane. L’ambasciatore in qualità di “Senior Advisor” dell’United Against Nuclear Iran, una organizzazione no-profit impegnata dal 2008 a impedire che l’Iran acquisisca l’arma nucleare, ha contribuito da tempo a promuovere una informata discussione sulla reale natura della Repubblica islamica dell’Iran e sugli innumerevoli rischi in cui possono incorrere coloro che decidano di rispondere positivamente alla irrealistica campagna pubblicitaria del governo di un nuovo, quanto inesistente, “Eldorado”, spingendo le aziende italiane, per lo più di medie e piccole dimensioni, ad entrare nel mercato di Teheran e tacendo completamente sui risvolti negativi di simili operazioni. Terzi, insieme al Partito radicale, ha più volte ribadito come vengano utilizzati i fondi dal regime iraniano.

Fondi che sono il frutto anche degli investimenti esteri nel paese. Invece di pensare al crescente malcontento interno, il regime finanzia il terrorismo e le truppe in Siria. Il popolo iraniano è sempre più stanco e lontano dalle scelte politiche delle proprie istituzioni autoritarie, così come dovrebbe esserlo l’intera Unione europea.

Aggiornato il 05 novembre 2019 alle ore 17:47