Effetti collaterali delle “politiche migratorie” euro-africane

Un rapporto dell’Undp (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo – United Nations Development Programme), pubblicato il 21 ottobre, considera le politiche migratorie europee destinate all’Africa controproducenti ed inefficaci, contestando una strumentalizzazione politica dell’aiuto allo sviluppo. Nel “rapporto” si legge che nelle strategie destinate ad ostacolare l’immigrazione clandestina, “i responsabili politici devono cambiare il loro approccio”, aggiungendo che: “La strumentalizzazione dell’aiuto internazionale allo sviluppo a fini politici, non avrà un impatto a lungo termine sui fattori della migrazione africana irregolare”. Dichiara l’Undp che le strategie politiche dei vari governi europei, come quelle del primo ministro francese Édouard Charles Philippe, o come quelle “ondivaghe” italiane, che puntano ad utilizzare gli aiuti ufficiali allo sviluppo, inviano “un cattivo segnale agli elettori europei facendo credere loro che tali strategie funzioneranno a lungo termine”.

Il concetto di prospettive politiche migratorie con effetti a lungo termine, o a breve termine, sono i “punti” di riflessione che dovrebbero essere valutati, ma soprattutto contestualizzarli nel sistema sociologico del Paese a cui sono destinati.

Il “Progetto Africa”, un accordo siglato pochi giorni fa tra Coldiretti, Eni e Bonifiche Ferraresi, come attori principali, pur denotando una chiara strategia operativa, dovrà articolarsi in un complesso sistema di potere che assume caratteristiche diverse nel disomogeneo panorama africano. Tale “progetto” è stato suggellato dal Capo del Governo italiano, che ha dichiarato: “Tenevo molto ad essere qui, appena ho ricevuto l’invito, ho subito aderito, perché Progetto Africa è un passo importante, che nasce da attori privati; non nasce sotto l’egida di parte pubblica o della politica, ma è un progetto strategico che ha rilievo politico”, aggiungendo che: “Ritengo fondamentale l’impegno a rivitalizzare le aree rurali, non solo in Italia, ma nel Sud del mondo”. Tuttavia, l’Undp sottolinea che anche se i programmi europei di aiuto all’Africa hanno profili produttivi e solidali, soprattutto se di “matrice” privata e possono essere teoricamente un incentivo a fermare l’emigrazione clandestina, in una lettura proiettata a lungo termine si potrebbe ottenere l’effetto contrario.

L’analisi-rapporto dell’Undp è frutto di una intervista a quasi 2000 migranti africani presenti in tredici Paesi europei; ne ha studiato il “profilo” e le motivazioni della migrazione, rivelando che l’età media alla partenza è di circa ventiquattro anni e che la loro condizione economica nel Paese d’origine era leggermente migliore dei loro coetanei. Anche se non appartenevano alla “classe media”, hanno tuttavia “chiaramente beneficiato del progresso dello sviluppo in Africa negli ultimi decenni”. L’85 per cento ha una provenienza da aree urbane e con livelli di scolarizzazione più elevati rispetto alla media della loro generazione. Dal “rapporto” risulta inoltre che il 49 per cento aveva un reddito al momento della partenza e di questi, i due terzi, avevano un guadagno superiore alla media nel loro Paese; inoltre, il 43 per cento dei contattati aveva portato a conclusione il ciclo secondario degli studi.

Brevemente, secondo le interviste condotte dall’Undp, i fattori di spinta all’emigrazione africana possono essere individuati in un sentimento di esclusione sociale e frustrazione nei confronti di aspirazioni e sogni che non hanno prospettive di realizzazione nei Paesi di origine e nei scarsi guadagni, nonostante siano migliori dei loro coetanei, inoltre il 77 per cento degli intervistati ha dichiarato di avere la sensazione di essere ignorati dai loro governi. Secondo gli autori del rapporto: “La loro ambizione ha superato le opportunità disponibili localmente”... “Lo sviluppo non sta andando abbastanza veloce e i loro guadagni sono irregolari e limitati. Per le persone il cui percorso di vita è ascendente, l’emigrazione prospetta un investimento per un futuro migliore”, una scelta razionale che implica un “rischio calcolato”.

Generalmente la motivazione migratoria rimane una decisione multifattoriale, che in alcuni casi si basa anche su considerazioni dovute al desiderio di istruzione, spesso alla sicurezza; la maggioranza ha menzionato il lavoro ed il relativo invio del denaro guadagnato alle loro famiglie, considerando che in Europa, del 38 per cento dei migranti che dichiarano reddito, il 78 per cento invia denaro ai familiari. Afferma l’Undp che i dati del 2017 mostrano che le rimesse dall’Europa all’Africa sub-sahariana sono intorno a 25,3 miliardi di dollari, dato che evidenzia che gli importi sono molto più alti di quelli degli aiuti ufficiali nell’“area”; mettendo in dubbio la capacità di questo impulso finanziario nel dissuadere i movimenti migratori.

L’analisi di questi dati, che tuttavia ritengo parzialmente attendibili a causa della impossibilità di riscontrane la “veridicità alla fonte”, suggerisce che lo sviluppo dell’Africa facilmente incoraggerà i movimenti migratori e che questi potrebbero anche aumentare. Va considerato che anche nei Paesi africani che raggiungono a malapena i livelli di crescita e di sviluppo, l’emigrazione sta iniziando ad intensificarsi; di conseguenza, si potrebbe contestare l’idea che la migrazione possa essere ridotta attraverso le attuali risposte programmatiche e politiche progettate per prevenirla.

L’emigrazione è un “non” fenomeno sociologico, in quanto le “dinamiche umane” sono antropologicamente fisiologiche; i fattori “economici” sia nei “porti” di partenza che di approdo sono importanti ma non determinanti; ritengo per quanto concerne l’approccio con l’emigrazione clandestina che, anche se i progetti a lungo termine sono “costruttivi”, la criticità sociale che causa ha bisogno di “risposte” a “breve” termine.

Aggiornato il 23 ottobre 2019 alle ore 10:45