Invasione della Siria: il Qatar è complice della Turchia

venerdì 11 ottobre 2019


L’invasione anti-curda del nord della Siria ad opera della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan ha ricevuto la condanna unanime della Comunità internazionale, con una sola e prevedibile eccezione: il Qatar.

Il sostegno di uno Stato “vero” come quello turco è indispensabile per il regime di Doha, sia a garanzia della sua stessa sopravvivenza, che per la soddisfazione delle proprie ambizioni di conquista. La crescente presenza militare di Ankara in Qatar è infatti finalizzata anche alla protezione del trono traballante dell’emiro Tamim bin Hamad al-Thani, che teme sempre più possibili rivolgimenti da parte dell’opposizione interna, composta da elementi del suo stesso clan, da famiglie rivali, intellettuali e attivisti per i diritti umani. Questi ultimi vorrebbero operare un’inversione di 180 gradi rispetto alle politiche che hanno fatto del piccolo emirato uno “Stato canaglia” finanziatore di estremismo e terrorismo. Tali politiche, tuttavia, rappresentano l’essenza del regime di Doha, la sua stessa ragione di vita. Per questo l’alleanza con Erdogan è di vitale importanza. Solo grazie alle leve che la Turchia è in grado di muovere, gli emiri al-Thani possono continuare a coltivare il sogno di dominare sull’intero Medio Oriente per il tramite dei Fratelli Musulmani, le pedine che Ankara e Doha continuano a utilizzare nel tentativo di scardinare l’ordine regionale.

Le Primavere Arabe, dietro cui si nasconde in realtà l’incubo di un gelido inverno islamista, hanno dato i loro frutti solo in termini di morte e distruzione, poiché alla coppia Erdogan-Al Thani non è riuscito il colpo d’installare dittature fondamentaliste rette dai Fratelli Musulmani in Paesi come Egitto, Tunisia, Libia e Siria. Ma la maledetta primavera è sempre lì. Un pensiero, un chiodo fisso. La “Primavera di Pace”, il nome apparentemente gentile assegnato all’invasione del nord della Siria, è un richiamo esplicito all’obiettivo che non hanno mai spesso di perseguire attraverso la costante destabilizzazione dell’area. È una provocazione, diretta principalmente al mondo arabo, che ha fatto fronte comune per contrastare la minaccia apportata dalla non-santa alleanza tra Turchia, Qatar e Fratelli Musulmani, e che oggi si ritrova ancora più unito nel dire “no” all’ennesima violazione del territorio siriano ordinata da Erdogan.

Alle condanne di Lega Araba e Consiglio di Cooperazione del Golfo, nonché dei singoli Stati che compongono le due organizzazioni, Doha ha invece risposto con una rassicurante telefonata dell’emiro Tamim al presidente turco, “con il quale ha rivisto le relazioni strategiche tra due Paesi fratelli (Musulmani), oltre a discutere degli sviluppi regionali e internazionali, in particolare gli ultimi eventi in Siria”, come recita una nota dell’agenzia stampa ufficiale qatarina.

Fuoriuscito di fatto dal consesso dei Paesi arabi, il Qatar vede l’opportunità di sfruttare l’invasione turca per estendere la sua influenza anche nel nord della Siria con il metodo che conosce meglio, vale a dire finanziando l’estremismo dei Fratelli Musulmani.

Come già a Idlib e ad Afrin, le infrastrutture dell’islamismo politico militante della Fratellanza, anticamera della radicalizzazione jihadista targata indifferentemente Isis e Al Qaeda, saranno impiantate da Ankara nella famigerata “safe zone” che si intende costituire al confine con la Siria, spazzando via la presenza curda: scuole, università, organizzazioni non-governative, media, associazioni che forniscono servizi sociali e assistenza, il tutto in larga parte foraggiato dai gas-dollari provenienti da Doha.

Nell’invasione del nord della Siria, Ankara non agisce da sola e diplomaticamente, pertanto, non basta chiamare a colloquio il solo ambasciatore turco. Convocato per spiegazioni dovrebbe essere anche all’ambasciatore del Qatar. Capito ministro Di Maio?


di Souad Sbai