Libia: non solo migranti nel centro di detenzione bombardato di Tajora

venerdì 5 luglio 2019


Lo stallo libico è arenato all’aeroporto di Tripoli; domenica 30 giugno un drone, forse turco, è stato abbattuto dalla contraerea di Haftar; Istambul attribuisce all’esercito di Bengasi la cattura di alcuni (sembra sei) “cittadini” turchi presenti nell’area contesa. Le tensioni tra Haftar e Erdogan non sono di adesso, già l’atavica e nota divisione dei “fronti”, ha schierato la Turchia sulla “riva” opposta alle alleanze di Bengasi (Egitto, Arabia Saudita ed Emirati), riproponendo e rimarcando la storica e artificiale “bilancia vicino-orientale” creata con la fine dell’Impero ottomano. Le “compulsioni” pseudo sultanili in ricordo di Abdulmecid II, l’ultimo Sultano ottomano e dal “visus” occidentale, inducono Erdogan, deluso dalle crepe che il suo potere sta manifestando (vedi le comunali di “Costantinopoli”), ha cercare di ritagliarsi un ruolo da protagonista nel panorama geopolitico che “incornicia” la Libia.

L’affronto all’esercito del Maresciallo Haftar, in difficoltà nel portare avanti l’obiettivo di entrare a Tripoli, è stato ostentato dall’esercito turco che, a detta dell’”uomo forte” di Bengasi, ha schierato i suoi uomini e le sue armi nella coalizione che appoggia il Governo di Unità Nazionale (Tripoli), riconosciuto (perché creato) dalla “comunità internazionale”. La risposta del Maresciallo è quella che in caso di manifesto ed ulteriore impegno della Turchia contro il suo esercito, sarà presa di mira la flotta turca presente a largo delle coste libiche, in risposta, Erdogan minaccia di considerare “bersagli legittimi”, i miliziani di Haftar se i prigionieri turchi non saranno liberati. In queste ore i “rapporti epistolari” e le dichiarazioni stanno passando ai rispettivi portavoce e alle agenzie di stampa, infatti per Bengasi il Generale Ahmad Al-Mesmari e per Istanbul il Ministro della Difesa Hulusi Akar, si minacciano reciprocamente di far pagare un prezzo altissimo per qualsiasi atteggiamento ostile assunto dell’altro. Le accuse del Generale Al-Mesmari stanno aprendo un filone di considerazioni che spesso vengono sopite da tematiche di grande impatto mediatico, come quelle umanitarie, che rappresentano le drammatiche situazioni che vivono i migranti nei campi di raccolta profughi di Bali Walid o Zintan o Tajora (recentemente bombardata), oppure con le “schermaglie geopolitiche” tra Stati non arabi che prendono posizioni opportunistiche e ondivaghe nei riguardi della situazione libica, ma la modesta e apparentemente poco rilevante, visto il livello del “caos”, disputa tra Haftar e Erdogan, mette in luce l’aspetto economico fondamentale che oggi, al di la del petrolio, è il mercato di armi. Sono le affermazioni del Generale Ahmad Al-Mesmari che attribuiscono ai turchi le importazioni illegale delle armi verso la Libia, nonostante l’embargo su questa “merce” stabilito già dal 2011 anno della deposizione di Gheddafi, tuttavia, afferma Erdogan, che le armi fornite dal suo Paese al Gna hanno permesso a Tripoli di “riequilibrare” la situazione contro le forze di Khalifa Haftar. Si ricorda che anche prima della deposizione di Muammar Gheddafi la Libia era il nodo di distribuzione delle armi in Africa, ma anche artefice di uno scambio con Serbia e Bielorussia e che sia in era gheddafiana che dopo, l’arsenale è stato gestito da una sedicente “Guida”, che ha organizzato un sistema commerciale di import-export avente come base la città di Sebha nel Fezzan. Sebha è ancora un hub regionale per il traffico di armi, favorita dalla sua posizione decentrata rispetto a eventuali “controlli internazionali”, vicina a una serie di depositi già presenti in epoca gheddafiana e slanciata con tracciati stradali desertici, verso la complessa area del Sahel. La distribuzione a livello capillare oggi è gestita da pseudo militari e trafficanti, come le milizie di Toubou, che hanno una sorta di monopolio, sia nelle aree intra-Libia, sia in Sudan, Mali, Sinai e Yemen, solo per citare i punti più “caldi”, ma anche dai Tuareg ex miliziani dell’esercito di Gheddafi. Inoltre c’è lo smercio al dettaglio, come il mercato del pesce a Tripoli, dove è possibile acquistare a buon prezzo discreti Ak-47, abbastanza funzionanti.

Oltre al “tradizionale” mercato descritto, visto lo “sviluppo tecnologico”, il sistema facebook libico aiuta a comprendere come fare al meglio questi acquisti, presentando una sorta di “depliant” dei “prodotti” (armi leggere). Tuttavia si sta verificando, da alcuni mesi, un flusso più imponente nell’importazione che sull’esportazione, verosimilmente causato dall’esaurimento delle “riserve” gheddafiane; ma nel sempre più efficace mercato, è anche possibile acquistare, per circa 8000 euro, una batteria di missili anticarro con il relativo “addetto” al funzionamento.

Se si legge il conflitto in Libia anche sotto questa ottica, si nota che gli interessi dei non pacificatori sono notevoli e forse in grado di influenzare le dinamiche e quelle “forze economiche” implicate nel “bazar” libico che evidentemente non soffrono molto i drammi umanitari. Inoltre il Flemish Peace Institute (Istituto fiammingo per la Pace, uno dei più accreditati centri di studio sul traffico delle armi) in un suo recente rapporto sulla circolazione illegale di armi nel Nord Africa, considera ancora la Libia il “paradiso del traffico di armi”; ricordando che il più importante deposito e snodo di armi africano, quello di Sebha nel Fezzan, è in un area ben controllata da Haftar e verosimilmente punto di raccolta di aiuti militari anche di provenienza oltreoceano. Per concludere è vero che Haftar si è arenato all’aeroporto di Tripoli, ma è anche vero che controlla la Cirenaica, il Fezzan, le tribù che riconoscono Saif al-Islam Gheddafi e parte della Tripolitania. Il recente bombardamento di un centro di detenzione dei migranti avvenuto a Tajora a pochi chilometri da Tripoli, ha causato alcune decine di morti (fonti non condizionate dicono 44) e numerosi feriti; Tripoli (Gna), accusa Haftar dello scellerato bombardamento, ma va ricordato che detto sobborgo non è solo un punto di raccolta migranti, ma è un’area di stoccaggio armi ed un sito militarmente sensibile, quindi è ovvio che in questa guerra civile è a rischio distruzione; viene tuttavia il sospetto che al di la del dramma umanitario, e chi sia l’autore del bombardamento, i migranti forse sono stati utilizzati come scudi umani, in ricordo della “scuola” di Saddam Hussein dopo il 2 agosto 1990.


di Fabio Marco Fabbri