Mali, Burkina Faso, Niger: la culla del “proto Stato islamico”

L’area centro africana si sta presentando sempre di più come uno degli anelli più deboli della speranza di equilibrio geopolitico della regione.

In particolare, il Mali, il Burkina Faso, il Niger, sono contaminati dal “virus” dell’odio etnico, misto alla psicosi religiosa, che non ha e non riconosce confini ne geografici ne politici. Una decina di giorni fa, dopo essere stato raso al suolo, dai jihadisti del gruppo etnico Fulani, il villaggio di Sobane e quasi sterminati i suoi abitanti appartenenti all’etnia Dogon, il 18 giugno i miliziani di Amadou Kufa, capo jihadista del Mali centrale, hanno assaltato un altro villaggio abitato dall’etnia Dogon dove sono state uccise circa quaranta persone.

La reazione dell’etnia Dogon non tarderà a presentarsi, sicuramente appoggiata dal gruppo etnico dei Bambara, anch’essi spesso vittime dei jihadisti. Adama Dionko, portavoce del Dogon Collective of Associations, ha affermato che gli autori delle ultime stragi etniche sono sempre gli stessi gruppi di miliziani jihadisti, quelli che, oltre che uccidere, distruggono i villaggi, abbattono gli animali, che sono l’unica fonte di sostentamento della popolazione, rendendo queste aree inospitali per queste etnie stanziali. La popolazione colpita trova debole riscontro alle richieste di aiuto e sicurezza prodotte al presidente della Repubblica del Mali Ibrahim Boubacar Keïta, nonostante l’impegno profuso dall’esercito maliano nell’impresa di fronteggiare i vari gruppi armati, composti anche da poche decine di persone che imperversano in molte aree della regione, le quali restano assolutamente non controllate dallo Stato. La causa della destabilizzazione del territorio viene spesso legata all’immagine di faide intercomunali ed interetniche, ma la realtà è che dal 2012 si è verificata una proliferazione di organizzazioni terroristiche di marchio jihadista, nate con lo scopo di controllare i territori intorno al Sahel. Infatti il loro progetto è quello di annettere il centro del Mali alle aree nord orientali, già a “macchia di leopardo” sotto il loro controllo.

Dopo il fallimento della creazione della regione di Azawad, conclusosi nel 2013 grazie all’intervento francese (operazione Serval), numerosi gruppi armati islamici, poco organizzati e con una spiccata tendenza “anarchica”, sono rimasti nella regione centrale, altri si sono dislocati in Burkina Faso (ex colonia francese, indipendente dal 1960), dove Ibrahim Malam Dicko, leader e fondatore del gruppo armato salafita-islamista Ansarul Islam, ha stabilito un’”area di influenza”. In tale contesto incombe anche la presenza del terrorista maliano di etnia Tuareg, Iyad Ag Ghali, attore principale delle dinamiche terroristiche del Movimento popolare per l’indipendenza dell’Azawad, che una decina di anni fa è stato anche consigliere culturale in Arabia Saudita (a Jeddah); la sua esperienza nella penisola araba si è poi conclusa a causa dell’eccessiva “vicinanza” ad Al Qaida. I governati del Burkina Faso (Paese ritenuto fino a pochi anni fa non “suscettibile” a penetrazioni salafite–jihadiste), insieme a quelle del Mali, hanno fatto tesoro di quanto accaduto negli ultimi quindici anni; infatti l’osservazione e l’analisi della presenza e delle “modalità operative” delle milizie jihadiste, spesso svincolate da strutture gerarchiche e anarcoidi, dotate di un forza offensiva efficace, data proprio dall’atteggiamento bellico tendenzialmente da guerriglia, hanno stimolato le autorità statali alla costituzione di analoghe formazioni soldatesche; truppe regolari, come le milizie Koglweogo, che sotto la bandiera del Burkina, ma con modalità “terroristiche”, riescono a fronteggiare i jihadisti rendendo la competizione quantomeno simmetrica, quindi più efficace.

La strutturazione di queste milizie regolari è l’unica azione che da risposta alla lotta al jihadismo. Anche l’esercito maliano ha già fatto “test di verifica” su tale “progetto” di “sistema militare offensivo”; l’utilizzo di “osservatori”, anche di nazionalità estera e di componenti della fratellanza dei cavalieri Dogon, ha effettivamente ottenuto risultati utili contro i gruppi islamici dell’etnia Fulani e Tuareg, avendo presente che nella regione di Mopti, quasi tutti i 108 comuni che compongono quest’area sono sotto pressione jihadista. Anche il Niger è soggetto a “movimenti” etnici, con il Mali ed il Burkina, ed anche il governo nigerino sta affrontando croniche tensioni interne. E’ di alcuni giorni fa la notizia che gruppi non organizzati di nigerini musulmani hanno incendiato una chiesa solo perché un influente imam Cheick Rayadoune, della moschea di Zaria, ho definito “anti Islam” un disegno di legge adottato dal Consiglio dei ministri, riguardanti “l’esercizio del culto”. Il testo decreta che “la libertà di culto deve essere esercitata nel rispetto dell’ordine pubblico” e che “l’esercizio del culto in un luogo pubblico sarà soggetto al regime di autorizzazione preventiva”; ulteriormente sancisce “il diritto dello Stato di controllare le fonti di finanziamento” finalizzati “alla costruzione e l’esercizio di luoghi di culto privati” i quali saranno “soggetti a previa autorizzazione”; l’aspetto che riguarda i finanziamenti è ovviamente il più critico.

Questa breve panoramica disegna la criticità del Sahel, non dimenticando che i gruppi jihadisti più hanno una struttura organizzata, più hanno la possibilità di essere recettori di finanziamenti, anche di matrice “Fratellanza Musulmana” e non è improprio affermare, da più fonti confermato, che in quest’area, che comprende parte del Mali, del Burkina e del Niger, si possano configurare le sembianze di un “proto Stato islamico, data la presenza di numerosi jihadisti appartenenti all’ex sedicente Califfato, visto che già da tempo si notano sventolare le “bandiere nere” con il “motto” dell’Isis e dove già la sharia viene rigidamente applicata.

Aggiornato il 24 giugno 2019 alle ore 11:11