La Giordania, il più grande campo profughi del Vicino Oriente

La Giordania viene spesso ricordata per il suo gioiello culturale ed architettonico che è Petra, ma dal punto di vista geopolitico la Monarchia Costituzionale hascemita, è una “pietra miliare” per l’equilibrio dell’area, che “contagia” positivamente le “diplomazie” con cui viene a contatto, e vista la drammatica crisi del Vicino Oriente, tale contagio assume una valenza notevole.

Il regno hascemita di Giordania, di cui l’ultimo rappresentante reale, in ordine di tempo, è Abd Allah II, nasce nell’ambito della complessa “questione” dell’agonia dell’Impero Ottomano, ed esattamente nel contesto dell’accordo Sykes Picot (segreto nel 1916, ufficiale nel 1920) e della parallela Rivolta Araba (1916-1918). Gli attori politici e militari erano la Gran Bretagna, la Francia (la Russia con un ruolo di “avallo”), lo Sharif della Mecca Al-Husain ibn Ali, hascemita, e Thomas Edword Lawrence, detto Lawrence d’Arabia, coalizzati contro il morente Impero Ottomano. Non particolareggiando, sull’articolata vicenda che vedeva schierati più che Nazioni e personaggi due modalità di riassetto della Porta, quello panarabo e quello del nazionalismo arabo, ad Al-Husain ibn Ali gli fu permesso, dalla Gran Bretagna, di concedere il territorio dell’Iraq e quello della Transgiordania (al di là del Giordano), ai propri figli, rispettivamente Faysal e Abd Allah che erano stati molto attivi nel “quadro” della Rivolta Araba. La dinastia hascemita si consolida sia in Iraq che in Giordania; in Iraq dopo travagliati avvicendamenti, sia anti britannici che filorussi, nel 1968 si afferma il partito Baʿth ed il suo rappresentante Saddam Hussein; la Transgiordania segue una omogeneità politica, con i sovrani hascemiti al potere, sia dopo la fine del mandato britannico (1928), sia dopo avere ottenuto anche la totale indipendenza dall’influenza “inglese” con il Trattato di Londra del 1946, diventando uno dei pochi punti fermi della travagliata politica del Medio Oriente.

Va ricordato che dopo il 1946, l’Emirato assunse il nome di Regno di Giordania, e che le illuminate e tolleranti ideologie del giovane re Husayn portarono, sia ad una nuova costituzione nel 1967, con l’abolizione della pena di morte, sia all’apertura di canali diplomatici con gli Stati Uniti, con l’Occidente, e successivamente anche con Israele (nonostante i conflitti e le sconfitte subite nella Guerra dei sei giorni, 1967 e quella del Kippur, 1973). La Giordania in questi ultimi anni ha sostenuto grandi investimenti ed enormi spese per sorreggere la complessa situazione creata dal confinante ex Stato Islamico; in più occasione il Re ha concesso “carta bianca” all’esercito giordano per fronteggiare correnti estremiste infiltrate nel Regno dal Califfato, ma anche proteste del popolo giordano pressato ed impoverito dalla drammatica situazione economica del Regno. Tali impegni, anche se non particolarmente palesati dalla stampa internazionale, hanno stremato le casse giordane. Il Re Abd Allah II, dall’educazione e dall’aspetto occidentale, affiancato dalla sensibile ed armoniosa Sua Maestà Rania Regina di Giordania, ha gestito oltre che i confini, anche una crisi sociale estremamente complessa: un tasso di disoccupazione del 18% che ha raggiunto il 39% tra i giovani, un debito fino al 96% del suo Prodotto Interno Lordo, gravi handicap derivanti da debolezze strutturali, inoltre, in questi ultimi anni, le esportazioni verso i suoi due principali mercati, quello siriano e quello iracheno, sono crollati in conseguenza alla guerra del Califfato. Contestualmente il regno hascemita ha dato ospitalità, nel più grande campo profughi del Medio Oriente, quello di Zaatari, a quasi 1,4 milioni di rifugiati prevalentemente siriani, pari al 20 per cento della popolazione giordana. Tale situazione ha arrecato al Regno un impatto socio-economico devastante. La comunità internazionale nell’ambito del sostegno ad Amman, nel mese di febbraio, ha ricevuto a Londra il Re Abd Allah II che durante una conferenza, ha chiesto ulteriori aiuti per sostenere l’economia del suo Paese pienamente coinvolto dai “tumulti jihadisti”.

Già precedentemente il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), nel suo programma di aggiustamento economico della Giordania, aveva agito in modo probabilmente inopportuno, offrendo crediti per 723 milioni di dollari, ma pretendendo l’aumento delle tasse, in un contesto sociale critico, prevedendo una crescita del 2,5% nel 2019, ad oggi presumibilmente non raggiungibile. In termini geopolitici, la Giordania è fondamentale per la stabilità della regione, ma anche per un equilibrio tra gli Stati arabi. La corsa agli aiuti, come sempre, non è totalmente disinteressata: la Francia ha assicurato un miliardo di euro articolato in prestiti e sussidi per il periodo 2019-2022, è anche il primo investitore, dopo i Paesi del Golfo, ed è attiva, sul territorio giordano, nell’ambito delle telecomunicazioni attraverso la società Orange (ex France Télécom); ha anche il controllo azionario dell’aeroporto di Amman, incluso nel gruppo Aéroports de Paris (Adp), di cui ha acquisito, nel 2018, il 51% della capitale. Oltre alla “missione” solidale, si ravvisa, quindi, anche un atteggiamento tendenzialmente “interessato”, visto che al “capezzale” dell’economia giordana si nota la presenza di numerosi “donatori” di profilo internazionale. Va inoltre considerato che il Paese sta pagando per cause non specificatamente giordane, ma di ordine globale, e che purtroppo nel Regno hascemita si sta verificando la classica “fuga di cervelli”, che oltre che arricchire gli stati riceventi, come l’Arabia Saudita, privano Amman di risorse intellettuali che al pari o superiormente a quelle economiche, sono necessarie per un riordinamento e per una nuova armonizzazione della Nazione.

Aggiornato il 20 maggio 2019 alle ore 12:50