Turchia: un alleato di Putin nella Nato?

martedì 2 aprile 2019


Il 17 settembre 1950, più di 68 anni fa, la prima brigata turca lasciò il porto di Mersin sulla costa mediterranea, arrivando 26 giorni dopo a Busan, in Corea. La Turchia fu il primo Paese, dopo gli Stati Uniti, a rispondere all’appello lanciato dalle Nazioni Unite a fornire aiuti militari alla Corea del Sud, dopo che quest’ultima era stata attaccata dalla Corea del Nord, nell’estate del 1950. La Turchia inviò quattro brigate (per un totale di 21.212 soldati) in aiuto a un Paese distante 7.785 chilometri. Alla fine della guerra di Corea, Ankara aveva perso 741 uomini, caduti in combattimento. Nel cimitero delle Nazioni Unite a Busan sono sepolti 462 soldati turchi.

Tutti quegli sforzi turchi erano finalizzati all’adesione alla Nato, obiettivo che la Turchia finì per perseguire il 18 febbraio 1952. Durante la Guerra fredda, Ankara rimase un fedele alleato degli Stati Uniti e della Nato, a difesa del fianco sudorientale dell’Alleanza. Ciononostante, gli eventi sono cambiati drasticamente da quando il governo islamista del primo ministro (ora presidente) Recep Tayyip Erdoğan arrivò al potere per la prima volta nel novembre del 2002. La “ritirata turca” non è avvenuta dall’oggi al domani.

Nell’aprile del 2009, reparti militari provenienti dalla Turchia e dalla Siria di Bashar al-Assad attraversarono il confine e raggiunsero gli avamposti durante esercitazioni militari congiunte. Era la prima volta che truppe della Nato si esercitavano con forze armate siriane.

Nel settembre del 2010, jet dell’aeronautica militare turca e cinese condussero esercitazioni congiunte nello spazio aereo turco. Anche quella era la prima volta che una forza aerea della Nato partecipava a esercitazioni militari con la Cina.

Nel 2011, un sondaggio d’opinione comparativo Transatlantic Trends, [realizzato dall’istituto di ricerca statunitense German Marshall Fund (Gmf)], rivelò che la Turchia era il Paese membro della Nato ad essere meno favorevole all’Alleanza, con solo il 37 per cento degli intervistati a sostegno (in calo rispetto al 53 per cento, nel 2004).

Nel 2012, la Turchia aderì come partner di dialogo nell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco, i cui membri sono Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan).

Nel 2017, un alto diplomatico cinese dichiarò che Pechino era pronta a discutere l’adesione della Turchia alla Sco.

Nel settembre del 2013, Ankara annunciò che aveva selezionato una compagnia cinese (la Cpmiec) per la costruzione del suo prima sistema di difesa antimissilistico a lungo raggio, nell’ambito del programma T-Loramids da 3,5 miliardi di dollari. Questo contratto fu in seguito annullato, ma Erdoğan poi si rivolse al presidente russo Vladimir Putin per rimpiazzarlo con il sistema missilistico di difesa aerea a lungo raggio S-400.

Nonostante le crescenti pressioni da parte degli Stati Uniti e della Nato, Erdoğan si è da allora rifiutato di rinunciare all’architettura della difesa aerea turca e ha preferito difendere arditamente il diritto della Turchia a “una decisione sovrana”. Più di recente, il 7 marzo, Erdoğan ha dichiarato che la Turchia non si ritirerà mai dall’accordo con Mosca per l’acquisto di missili S-400. Ha perfino aggiunto che Ankara potrebbe successivamente cercare di acquisire i più avanzati sistemi missilistici S-500 in fase di realizzazione in Russia.

Washington sta ancora avvertendo il suo alleato part-time della nato che l’accordo russo avrebbe “gravi conseguenze”. Secondo la Cnn: “Se la Turchia acquisisce gli S-400 ci saranno gravi conseguenze”, ha detto ai giornalisti Charles Summers, portavoce del Pentagono, venerdì [8 marzo], asserendo che minerebbe le relazioni militari americane con Ankara. Summers ha affermato che tali conseguenze includerebbero la possibilità che gli Stati Uniti non permetteranno alla Turchia di acquisire i caccia F-35 e il sistema di difesa missilistica Patriot.

La Turchia, membro del consorzio multinazionale guidato dagli Stati Uniti che costruisce i caccia di nuova generazione, F-35 Lightening II, si era impegnata ad acquistare più di cento velivoli.

La scelta di Ankara a favore della Russia (e contro la Nato) avrà di certo svariate ripercussioni su più livelli. Gli Stati Uniti potrebbero o meno rivalersi espellendo la Turchia dal gruppo di Paesi che hanno aderito al programma Joint Strike Fighter, che ha l’obiettivo di costruire gli F-35. Una decisione questa che implicherà considerazioni di natura economica oltre a quelle di ordine militare e politico. La Turchia, se espulsa, potrebbe rivolgersi a Mosca per avere caccia di nuova generazione, soluzione questa che Putin sarebbe molto felice di proporre – e creare nuove crepe nel blocco della Nato, una mossa che, secondo Erdoğan, probabilmente, l’amministrazione americana (e la Nato) non può permettersi. Lo stratagemma di Erdoğan, tuttavia, ha un messaggio più importante per la Nato della mera acquisizione di armamenti: l’identità geostrategica della Turchia.

L’S-400 è un’avanzata architettura di difesa aerea, specialmente se utilizzata contro i mezzi aerei e la potenza di fuoco degli eserciti occidentali (Nato). Chiaramente, la Turchia non può usare questo sistema contro un’eventuale aggressione russa o contro le armi di fabbricazione russa. Con l’accordo per i missili S-400, Ankara sta solo dicendo ai suoi teorici alleati occidentali che considera “loro” e “non la Russia”, come una minaccia alla sicurezza. Poiché la Russia è ampiamente considerata una minaccia alla sicurezza per la Nato, la strana posizione della Turchia induce inevitabilmente a mettere in discussione la sua identità ufficiale nella Nato.

La Turchia possiede il secondo esercito più grande dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico e la sua “liaison” militare con Mosca potrebbe essere solo agli inizi, ma mina la capacità dissuasiva della Nato nei confronti della Russia. Indubbiamente, Mosca non desidera di meglio che vedere la rottura di un’alleanza militare che prevede che “un attacco armato contro uno” dei Paesi membri della Nato “sarà considerato come un attacco contro tutti”.

(*) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Burak Bekdil (*)