Ahed Tamimi: una 16enne palestinese in cerca di guai

Magari un domani potrebbe essere una di quelle che diffonde l’odio anti semita contro Israele. Per ora però Ahed Tamimi sembra una sedicenne dai capelli rossi a coda di castoro un po’ isterica smaniosa di mettersi in mostra facendosi fotografare mentre prende a schiaffi i soldati israeliani ai check point nella West Bank. Sfidandoli a reagire – cosa che quasi sempre non avviene – finché poi qualche anima pia non la ferma. O non la arresta. Come le è successo un mese fa quando nel cuore della notte la polizia militare di Gerusalemme non la ha portata in un centro di detenzione. Erano i giorni delle proteste contro la decisione (sacrosanta) di Donald Trump di trasferire a Gerusalemme l’ambasciata statunitense. Adesso il padre è disperato e lancia appelli su avaaz.org. E, con buona pace della giornata della memoria – che dovrebbe occuparsi anche degli ebrei ancora vivi – non si perita nel chiedere aiuto all’opinione pubblica mondiale affinché la figlia venga rilasciata di definirsi come uno che ha “dedicato la vita alla resistenza civile in Palestina”. Quel “civile” fa ben sperare ma va esplicitato.

Nel frattempo la figlia sedicenne, che pure merita tutta la comprensione di questo mondo, bene farebbe a non andare in giro insieme agli scugnizzi della jihad palestinese in cerca di rogna e di provocazioni. L’appello del padre anziano e disperato inizia così: “Il caso della mia bambina va in aula tra pochi giorni, il 31 gennaio, ma nel 99 per cento dei casi quando l'imputato è palestinese, anche se si tratta di ragazzi, i tribunali militari israeliani arrivano a una condanna. Vi prego di unirvi al mio appello qui sotto, basta un solo click, lo faremo arrivare direttamente ai leader di tutto il mondo”.

E che dice l’appello? “Chiediamo la liberazione di Ahed e di tutti i bambini e minori palestinesi detenuti ingiustamente nelle prigioni militari. La comunità internazionale deve mettere fine ai maltrattamenti e alla detenzione di minorenni in queste carceri. Si è passato ogni limite. Ad Ahed e a tutti gli altri ragazzi nelle prigioni militari israeliane: siamo con voi, e vi portiamo nel cuore. Non ci fermeremo finché non sarete liberi. Non siete soli”.

Tutto giusto, condivisibile. A patto che al signor Bassem al-Tamimi e a quelli di Avaaz si possa porre la seguente domanda: “Che differenza ci dovrebbe essere tra il trattamento da riservare alle baby gang para camorristiche nel sud d’Italia rispetto a quelle simpatizzanti con il terrorismo islamico che invece scorrazzano nella West Bank e a Gaza?”.

Aggiornato il 26 gennaio 2018 alle ore 08:10