Arresti in Arabia Saudita: lotta di potere o guerra all’Iran?

Sabato scorso, 4 novembre, un certo numero di arresti ha drasticamente toccato l’assetto interno della monarchia Saudita. Undici principi e decine di ministri e dignitari sono stati arrestati, mentre i potenti capi della Guardia Nazionale e della Marina, entrambi forze elitarie direttamente dipendenti dalla casa reale, sono stati dimissionati. In definitiva, una “purga” senza precedenti la cui regia è da attribuire al giovane (32 anni) Principe ereditario Mohamed ben Salman, già ministro della Difesa saudita e figlio prediletto di Re Abdulaziz ben Salman (82 anni).

Già nel mese di settembre scorso il principe Mohamed aveva manifestato un orientamento riformista che aveva portato all’arresto di molti (più di trecento) radicali wahabiti a orientamento salafita jihadista, rei di aver contribuito ad alimentare l’islam deviato di matrice sunnita: da Bin Laden a Al Qaeda, per finire con l’Isis di Awwad al Badr, meglio noto come il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

In Arabia Saudita il potere legislativo, secondo Costituzione, è nelle mani di un Consiglio degli Anziani, la cui maggioranza era (sino all’avvento del principe Mohamed) di estrazione wahabita, cioè dei discendenti della famiglia al Wahab, che sin dal 1770 ha dato origine alla teologia ortodossa salafita, che nei giorni d’oggi ha da sempre alimentato la più accesa e perversa radicalizzazione dell’Islam sunnita. Grazie ai pieni poteri di cui si è impossessato il Principe ereditario Mohamed, buona parte della componente wahabita del Consiglio degli anziani (grazie anche al pieno supporto avuto in via informale dal Presidente Trump durante la sua visita in Arabia Saudita) è stata sostituita con elementi di orientamento religioso riformista e modernista. Tutto ciò spiega sia gli ultimi cambiamenti legislativi a favore delle donne, sia il pieno consenso fornito dal Consiglio all’azione “anticorruzione” portata avanti con i numerosi arresti di alto livello degli ultimi giorni.

Per inciso, il Principe Mohamed ben Salman (meglio identificato nel mondo della finanza mondiale con l’acronimo: “MbS”), è fermamente intenzionato a trasformare l’Arabia Saudita da principale diffusore della lettura più radicale dell’Islam Sunnita (il proselitismo Wahabita Saudita: principale finanziatore oltre che di moschee, di madrase e di centri di cultura islamica wahabita in tutto il mondo, anche del perverso radicalismo jihadista) a fonte principale di un modernismo islamico senza precedenti. La sua visone di un progetto per il futuro dell’Arabia Saudita è incentrata in un enorme progetto, che dovrebbe smarcare definitivamente l’economia saudita dal petrolio, portandola entro il 2030 verso fonti innovative di energie rinnovabili, con una politica economica condivisa con l’occidente e concreta dal punto di vista commerciale.

Tutto ciò significa, dal punto di vista “interno”, capovolgere completamente l’attuale predominanza del potere religioso su quello politico. Nella sostanza, pari tormentato pensiero che dal 1979 (anno della rivoluzione “salafita” Komeinista!) interessa gli Ayatollah iraniani che, seppur investiti dalla voglia popolare di piena “modernità” continuano a rimanere imprigionati dalla piena cornice “religiosa” in cui viene circoscritta il più vasto agire della sfera politica.

Di qui il confronto politico-religioso, che trova le sue origini nello schisma Sciiti – Sunniti sotto il Califfo Alì (ibn Abī Ṭālib, genero del Profeta) nel lontano 656 d.C. Da allora, sulla ragione ereditaria o elettiva del Califfo, l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita si sono da sempre combattuti, osteggiati, confrontati e odiati a vicenda. A conferma di questo spinto antagonismo, lo stesso 4 novembre scorso, il primo ministro libanese, Saadi Hariri, in visita al Paese ha annunciato ad Al Arabia, l’emittente internazionale saudita, le sue dimissioni e, qualche ora dopo, ha fatto seguito il lancio di un missile dallo Yemen verso Riad, attribuito ai ribelli sciiti Houthi (sostenuti e finanziati dall’Iran), arroccati nel sud del Paese. I fatti di sabato scorso, infatti, portano inevitabilmente all’acuirsi della guerra fredda tra Arabia Saudita e Iran, che immancabilmente ci riporta all’emblematico conflitto siriano, con la partecipazione dei “soldati di Dio” libanesi, Hezbollah, in supporto delle forze governative filo-iraniane del Presidente Assad.

Ora come allora, era il 2009, il Primo Ministro Saadi Hariri, gioca un ruolo di primo piano nello scenario mediorientale. Hariri ha dichiarato che in Libano: “Stiamo vivendo in un clima simile all’atmosfera che c’era prima dell’assassinio del martire Rafiq Hariri (ndr: suo padre, morto per attentato di Hezbollah nel 2005). Ho capito che c’è una trama per attentare alla mia vita!”. Durante il suo annuncio, Hariri ha criticato l’Iran, padre ideologico e finanziatore del movimento politico armato sciita del Partito di Dio. L’ex premier ha attaccato le ingerenze di Teheran negli affari interni del Libano. Giocare su queste influenze è uno dei capisaldi della politica espansiva dell’Iran in Medio Oriente per avere sempre più influenza (ed anche è uno dei motivi per cui l’amministrazione Trump ha deciso di annullare l’accordo sul nucleare iraniano firmato da Obama) nell’area. E Hezbollah è uno dei pilastri della politica estera iraniana.

Quindi, le dimissioni di Hariri e la sua fuga in Arabia Saudita, sono frutto della nuova politica americana nella regione: Donald Trump ha mandato un messaggio chiaro ai Paesi mediorientali che dice, in estrema sintesi, “o state con noi, o state con l’Iran”. E annunciarle da Riad, fulcro della politica americana nella regione e soprattutto centro della divisione intra-islamica, è certamente una scelta di risonanza mediatica mondiale.

La Siria di oggi rappresenta la chiave di volta dell’alleanza tra gli Usa e l’Arabia saudita. Alleanza datata 1927 ma ben rilanciata dal famoso discorso del Presidente Obama nel giugno 2009 al Cairo. In quell’Occasione Obama indicò nell’Arabia Saudita la Potenza Regionale del nuovo Ordine Mondiale proposto dagli Usa. Trump, con il suo discorso davanti a 50 leader musulmani nel corso della sua prima visita di Stato in Arabia Saudita, non ha fatto altro che rilanciare il ruolo di questa nazione quale leader nella comune lotta al terrorismo islamico e all'Iran.

Da non dimenticare che l’Arabia Saudita è l’unico vero finanziatore dell’Esercito Libero Siriano, componente militare siriana costituitasi contro il regime di Assad. I Sauditi, Sunniti ultra-ortodossi, vedono nella Siria solo una pedina della loro campagna contro gli scissionisti sciiti dell’Iran degli Ayatollah. In contrapposizione all’asse Usa-Arabia Saudita, la Siria di Al Assad ha potuto contare sull’appoggio strategico della Russia e dell’Iran.  Ma, in tutto questo punto non bisogna tralasciare il ruolo storico che la Siria ha giocato nei confronti del ristabilimento della pace nel dopo guerra civile in Libano. I siriani hanno avuto un ruolo fondamentale nel ricucire i rapporti interreligiosi tra le varie comunità e Saadi Hariri (sunnita) ne è la chiara dimostrazione. Hariri fu, infatti, nominato Primo Ministro, nel 2009, grazie all’appoggio di Hezbollah (sciiti) e perché proposto dal Presidente libanese Michel Aoun (Cristiano Maronita), sotto l’attenta regia dell’allora Presidente siriano Assad. Anzi, fu proprio in quell’occasione che emerse chiaramente il conflitto ideologico-religioso tra l’Arabia Saudita del Re Abdul Aziz al-Saud e il Presidente Assad. Qualche mese prima si incontrarono a Beirut, in aeroporto, per discutere sul futuro del Libano (... in attesa della sentenza del Tpi sull’uccisione del Premier Hariri nel 2005... mai divulgata!). L’incontro durò esattamente tre minuti; il tempo necessario affinché Assad chiarisse la sua ferma volontà a non sopportare alcuna ingerenza Saudita nei confronti di Hezbollah!

Ora come allora, il Libano rientra dunque tra gli obiettivi strategici per il controllo dei flussi energetici tra l’area caucasica e il Mediterraneo: unica vera ragione del contrasto sempre più evidente tra Arabia Saudita (massimo esportatore di petrolio a livello mondiale e controllore dei traffici energetici marittimi del Golfo Persico) e l’Iran.  La conferma viene dall’alleanza “energetica” tra l’Iran e la Russia. Il greggio proveniente dai paesi caspici viene, infatti, trasportato verso le raffinerie del nord dell’Iran, per poi essere esportato, parte attraverso il Golfo Persico, ma con un sempre maggiore orientamento verso il Mediterraneo, attraverso il terminale siriano di Latakia, ancora oggi sancta sanctorum alauita sotto tutela russa.

Oltre quanto accaduto in Arabia Saudita, con la sua massima evidenza dei fatti di sabato scorso, l’allarme lanciato ieri dall’Arabia Saudita, dal Bahrein e dal Kuwait con il richiamo in patria dei rispettivi concittadini e il divieto di recarsi in Libano, conferma che dietro le aperture politiche degli Usa nei confronti dell’Arabia Saudita, esiste una guerra (per ora fredda!) sul controllo “degli approvvigionamenti energetici” dell’area nei confronti dell’Iran.

Un ultimo dato di cronaca investe direttamente Israele ed è comunque da ricollegare alle dimissioni del premier Hariri. Lo scorso 8 settembre, l’aviazione israeliana ha attaccato un impianto militare governativo nei pressi di Hamah (Siria al confine con il Libano), provocando gravi danni alla struttura ma colpendo anche presunti convogli che trasportavano armamenti per il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato della Siria nella lotta contro i miliziani jihadisti. Israele ha da sempre nel mirino Hezbollah, considerandolo come gruppo terrorista al soldo dell’Iran che opera per contrastare l’egemonia di Israele nell’area. Le paure di Hariri sono state causate principalmente dal fatto che in Libano ormai non esiste più grande differenza tra Hezbollah e le Forze Armate Libanesi. Anzi, l’attuale orientamento delle forze politiche libanesi è sempre più per considerare un attacco a Hezbollah come un attacco al Libano. Un Libano, quindi, pro Iran e pro Siria senza più alcuna riserva!

L’alleanza Teheran-Damasco è una costante storica e un partenariato strategico datato dal 1979, anno della rivoluzione Komeinista. È una relazione privilegiata, che ruota intorno a tre fattori: l’ostilità verso Israele, il contro-bilanciamento dell’influenza occidentale in Medioriente e il contenimento del sunnismo revanscista. Tutti e tre elementi che ritroviamo nell’attuale contrapposizione Iran-Arabia Saudita. Siamo forse alle scaramucce ufficiali che contraddistinguono il passaggio da una guerra fredda a quella guerreggiata?

Aggiornato il 10 novembre 2017 alle ore 20:05