Scontri in Catalogna, le scuse di Madrid

In apparenza è sempre muro contro muro fra i due grandi avversari nella grande crisi catalana e l’appuntamento per lo scontro fra treni previsto per lunedì prossimo è solo slittato all’indomani quando il presidente Carles Puigdemont riferirà in parlamento sul referendum, aprendo la strada a una possibile dichiarazione di indipendenza.

I dirigenti indipendentisti catalani sembrano incerti sulla strada da seguire ora, in una sorta di “vertigine” scrive la stampa, davanti al prossimo passo verso l’indipendenza, in una situazione resa più incerta dalle fughe di grandi aziende catalane verso il resto della Spagna - agevolate da un decreto adottato ieri dal governo di Madrid - per timore del “Cataexit”. Ieri la prima banca catalana, CaixaBank, ha deciso di trasferire la sede sociale a Valencia, mentre il colosso dell’energia Gas Natural si trasferirà a Madrid. Le dichiarazioni restano intransigenti. Ma il tono è cambiato, mille tentativi di mediazione più o meno sotterranei sono in atto, e alcuni gesti sembrano indicare che forse qualcosa si sta muovendo. Sul fronte giudiziario spagnolo ci sono stati gesti in apparenza distensivi. Il capo della polizia catalana dei Mossos d’Esquadra, Josep Llluis Trapero, e i presidenti delle due grandi sigle della società civile indipendentista Jordi Sanchez e Jordi Cuixat, indagati per “sedizione”, sono stati lasciati liberi dal giudice di Madrid che li ha interrogati ieri mattina a Madrid. E a Barcellona un altro giudice ha deciso di avviare un’inchiesta sulle violenze della polizia spagnola avvenute domenica.

Dal fronte politico sono venuti altri segnali. Il delegato del governo spagnolo in Catalogna Enric Millo ha “chiesto scusa” in tivù ai catalani per le violenze della polizia. Per la prima volta un ministro di Puigdemont, membro del suo partito il Pdect, Santi Villa, ha detto che serve “un cessate il fuoco” con Madrid che eviti “decisioni irreparabili” come una sospensione dell’autonomia catalana o l’arresto dei suoi dirigenti. E non ha escluso che si “metta da parte” la dichiarazione di indipendenza.

Puigdemont continua a premere per una mediazione. Oltre alle tante già ipotizzate - fra cui quella della Chiesa - ieri si è parlato della Svizzera, dell’ex-premier socialista José Maria Zapatero e dell’ex presidente americano Barack Obama. Madrid continua però a esigere che Puigdemont prima “torni alla legalità” e rinunci alla dichiarazione di indipendenza. Il “President” parlerà martedì davanti al parlamento catalano. Un intervento spostato di un giorno dopo il veto alla seduta di lunedì venuto dalla Corte costituzionale. Nulla impedisce che dopo venga sfoderata la dichiarazione di indipendenza. I dirigenti catalani sono incerti davanti ai rischi di una fuga in avanti. “Abbiamo un impegno con gli elettori” ha detto la leader del Pdecat di Puigdemont, Marta Pascal, “ma non vogliamo perdere la complicità internazionale”. Artur Mas, il predecessore di Puigdemont, ha avvertito che la Catalogna non è pronta per l’indipendenza, ma a sinistra la Cup esige che martedì si proclami la “Repubblica”. Intanto il premier spagnolo, Mariano Rajoy, continua a resistere alle pressioni perché applichi l’articolo 155 della costituzione, che permetterebbe di esautorare Puigdemont, sospendere l’autonomia catalana e convocare le elezioni anticipate. Col rischio però di un sollevamento catalano. Il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, ha tentato fino all’ultimo di convincerlo ad attivare il 155 ieri. Invano. “Sa quando deve agire”, ha detto il suo portavoce, Inigo Mendez de Vigo, “non si lascerà influenzare da nessuno”.

Aggiornato il 07 ottobre 2017 alle ore 11:14