Est Europa: a che gioco sta giocando Donald Trump?

I fans russi di Donald Trump rimarranno delusi. Perché, anche i più estremisti anti-americani, come Alexandr Dugin, contavano su una rottura fra gli Usa e gli alleati europei e il contemporaneo riavvicinamento fra gli Usa e la Russia, contro nemici comuni. Queste aspettative, create dalla campagna elettorale del tycoon, sono ancora molto vive e condizionano da cima a fondo tutta la narrazione mediatica. Si parla molto di Russiagate: i presunti contatti illeciti fra Trump e il Cremlino durante la campagna elettorale. Si parla ancor di più del ruolo russo nel sabotare e manipolare l’esito del voto (anche se ormai è appurato che gli hacker russi non sono entrati affatto nel sistema di voto e che il loro ruolo si sia limitato alla diffusione di email riservate a fini propagandistici). E ha fatto scandalo l’incontro fra il presidente Usa e il ministro degli esteri russo Lavrov, a cui ha rivelato segreti sul terrorismo dell’Isis. Anche una lunga conversazione riservata, a tavola, fra Trump e Putin, nel corso dell’ultimo G20, è stata messa sotto la lente di ingrandimento dei media (cosa si saranno detti?). Eppure...

Eppure, all’atto pratico, la politica estera statunitense non sta facendo gli interessi della Russia, né segna un netto miglioramento dei rapporti, tantomeno una rottura con gli alleati dell’Est europeo. Dialogo sì, ma gli interessi difesi dagli Usa sono spesso antitetici a quelli russi, sia in Siria che in Europa orientale. Lo testimonia il nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia promosso dal Congresso a maggioranza repubblicana, sul quale Trump ha comunque messo la sua firma senza fiatare. Ne è seguita una risposta russa dal forte valore simbolico, anche se poca cosa nella pratica: l’annuncio dell’espulsione di oltre 700 “diplomatici americani”, evidentemente non tutti espulsi né tutti americani, considerando che in totale gli Usa mantengono in Russia esattamente 333 loro funzionari.

Ma ancor più interessante è il contenuto dei discorsi del vicepresidente Mike Pence nel suo attuale tour europeo. Ha infatti ribadito tutti i principi della politica estera americana in Europa, da Clinton in poi, come se Trump fosse in perfetta continuità con i suoi predecessori. Pence ha dichiarato il suo pieno sostegno ai paesi baltici nel suo discorso a Tallinn: “Siamo dalla parte dei popoli e delle nazioni di Estonia, Lettonia e Lituania e sempre lo saremo (...) Nessun pericolo più grande incombe sui Paesi Baltici rispetto allo spettro dell’aggressione del vostro imprevedibile vicino dell’Est (la Russia, ndr). In questo stesso momento, la Russia continua a cercare di ridisegnare i confini internazionali con la forza, sabotare la democrazia di nazioni sovrane, dividere le nazioni libere dell’Europa e metterle le une contro le altre”. Suona “trumpiano”? Assolutamente no, per come Trump viene percepito dai nostri media. E non è solo retorica: anche nella pratica, Pence ha discusso con il premier estone Juri Ratas sulla possibilità di schierare nel paese baltico confinante con la Russia una batteria anti-missile di Patriot.

Al capo opposto della Nato, nei Balcani, sarà rimasto deluso l’ultra-nazionalista serbo Sesheli, che sfoggiava sui social le magliette di Trump in campagna elettorale. Perché anche in questo settore delicato, Pence ha ripreso tutti i temi classici della politica americana, da Clinton in poi: “Riaffermeremo l’impegno degli Stati Uniti a costruire relazioni che rafforzeranno i legami fra la Comunità europea, i Balcani Occidentali e gli Stati Uniti d’America”, ha detto in conferenza stampa in Montenegro, l’ultimo membro della Nato (in ordine di tempo). Il vicepresidente degli Usa, commentando l’ingresso del paese nell’Alleanza, lo ha definito un “traguardo storico” e “un segno di forza di questo paese appena 10 anni dopo la sua indipendenza”, dalla Serbia. Pence ha premiato il coraggio “mostrato in particolar modo di fronte alla pressione della Russia”, che nel 2016 ha tentato (stando a fonti di intelligence della Nato) anche un colpo di Stato per impedire l’accesso del Montenegro nella Nato.

Ma un conto è parlare agli alleati, un altro è rassicurare paesi che sono fuori dalla Nato e subiscono direttamente il peso della Russia. E Pence ha trovato il coraggio di farlo, il 1 agosto, a Tbilisi, capitale della Georgia: “L’America sostiene la sovranità e l’integrità territoriale della Georgia, nei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. E con questo ha condannato l’occupazione russa di Abkhazia e Ossezia meridionale avvenuta nella breve guerra di agosto 2008. “Oggi la Russia continua a occupare un quinto del territorio georgiano – ha continuato Pence – Così, per essere chiari, l’America condanna fortemente l’occupazione russa del suolo georgiano”. In un momento molto suggestivo, il presidente georgiano Giorgi Margvelashvili ha risposto a Pence dicendo che: “A poche decine di chilometri da qui, il filo spinato è stato eretto per impedire il libero movimento dei miei cittadini. A poche decine di chilometri da qui, la gente è perseguitata solo perché georgiana”.

Pence, c’è da dire, ha sempre avuto questo ruolo. Nel momento in cui, in campagna elettorale, Donald Trump dichiarava che la Nato fosse ormai “obsoleta”, Pence ribadiva l’importanza degli alleati europei. Quando Trump metteva in discussione l’articolo 5 dell’Alleanza (mutua difesa) condizionandolo all’impegno finanziario degli alleati, Pence ribadiva comunque l’impegno americano nella difesa dell’Europa. Chi dei due, alla prova dei fatti, sta dicendo la verità sulla politica estera Usa? Nel gioco delle parti fra Trump e Pence, il “poliziotto buono e il poliziotto cattivo”, il primo scuote gli alleati per indurli a contribuire maggiormente alle spese della difesa e fare anche gli interessi degli Usa. Mentre il secondo rassicura che, in ogni caso, l’alleanza sarà rispettata e continuerà la politica Usa di difesa della democrazia liberale in Europa orientale. Questo è ciò che traspare dai primi sette mesi della nuova amministrazione. Ma Trump è notoriamente imprevedibile. Quindi prepariamoci anche ad assistere a una nuova sorpresa: magari questo è solo un periodo di transizione e nel prossimo futuro sarà Trump a far prevalere la sua linea di rottura con l’Europa. E si scoprirà allora che Pence era solo un palliativo?

Aggiornato il 03 agosto 2017 alle ore 12:06