Venezuela, arresti e violenze nel “golpe bianco” di Maduro

Li hanno arrestati in pigiama, nel cuore della notte, come nella peggior tradizione sovietica. Leopoldo Lopez, sindaco d’opposizione e Antonio Ledezma, altra figura chiave dei democratici del Venezuela, sono stati prelevati così, senza un chiaro mandato, dai servizi segreti (Sebin). Sono gli ultimi due di una lunghissima serie di arresti politici, circa 500, che hanno preceduto, accompagnato e seguito, il processo di elezione della nuova Assemblea Costituente voluta fortemente dal presidente Nicolas Maduro.

È bene, prima di tutto, parlare fuor di metafora: quella a cui abbiamo assistito non è una vera e propria elezione, ma un golpe. E neppure troppo “bianco”, cioè incruento. È un colpo di spugna con cui il presidente socialista Maduro ha cancellato il Parlamento, dominato dai partiti di opposizione e lo ha sostituito in blocco con un altro organo legislativo, a lui fedele, con l’incarico di riscrivere la Costituzione. Considerando che l’Assemblea Costituente è formata esclusivamente da socialisti/populisti fedeli a Maduro, visto che l’opposizione ha boicottato il voto, si può benissimo immaginare quale sarà la prossima legge suprema del Venezuela, scritta a immagine e somiglianza dell’ideologia del “Socialismo del XXI Secolo” di Chavez e Maduro.

Perché è un golpe? Perché l’elezione della Costituente non è avvenuta nel rispetto del dettame dell’attuale Costituzione, prima di tutto. Secondo l’attuale legge suprema venezuelana, infatti, il popolo deve votare con un referendum l’indizione di elezioni costituenti. Maduro ha saltato questo passaggio. Il referendum dell’opposizione, la settimana scorsa, mirava a lanciare un segnale chiaro al presidente. Nonostante le minacce e le violenze, 7 milioni e mezzo di venezuelani si sono recati alle urne per dire no all’Assemblea Costituente. Benché fosse nel rispetto della Costituzione vigente, Maduro lo ha dichiarato illegittimo. Secondo: è un golpe perché il voto per l’Assemblea Costituente non è stato né libero, né universale. In base a una sentenza molto discussa della Corte costituzionale, di cui abbiamo già parlato su queste colonne, il nuovo organo costituente può essere eletto senza suffragio universale. Si votava per categoria sociale e per regione. I seggi sono distribuiti in modo che abbiano più rappresentanza quelle regioni che sono note per il loro sostegno a Maduro. Si votava con i documenti di identità, ma anche con il “carnet de la patria”, un documento non ufficiale che è stato distribuito a milioni di cittadini dal partito di governo per ottenere pasti e beni di prima necessità a prezzo politico.

All’opposizione, privata di voce e di rappresentanza politica, non è rimasta che la protesta di piazza. Ma Maduro ha vietato le manifestazioni e ha mandato le forze di sicurezza, con mezzi blindati, a presidiare le città. Gli scontri avvenuti fra venerdì e domenica, cioè negli ultimi due giorni di campagna e durante le operazioni di voto, sono stati i più violenti della storia recente del paese sudamericano. Nelle proteste, fra i primi, è morto Ricardo Campos, noto dirigente giovanile del partito di opposizione Azione Democratica. È stato ucciso a Cimanà, capitale dello stato di Sucre, nel Nordest del paese. Nella sola giornata di domenica le vittime sono state 16. La conta delle perdite umane, dal 1 aprile ad oggi, arriva a 127.

Lunedì, come era prevedibile, Maduro ha annunciato la vittoria dei socialisti all’Assemblea Costituente. Ma non si sa ancora quante persone abbiano realmente votato, anche considerando l’intricato sistema di voto. Era legale, per esempio, che una sola persona potesse votare anche due volte di fila, la prima perché appartenente alla sua categoria professionale/sociale, la seconda perché residente in quella determinata regione. L’opposizione denuncia un tasso di astensionismo reale pari all’88 per cento (dunque l’affluenza sarebbe di appena il 12 per cento). Maduro e fonti governative, al contrario, parlano di un’affluenza del 41,5 per cento.

È in questo contesto da pre-guerra civile che i due leader dell’opposizione sono stati prelevati dai servizi segreti. Sia Leopoldo López che Antonio Ledezma erano entrambi già agli arresti domiciliari, dopo un primo periodo di detenzione in carcere. Entrambi erano stati arrestati nel corso della prima grande ondata di proteste nel 2014. Benché tagliati fuori dalla politica attiva, durante le operazioni di voto erano riusciti a esprimersi, mandando messaggi in cui invitavano l’opposizione a boicottare il voto. Per questo hanno deciso di farli tacere. La loro destinazione è tuttora ignota.

Aggiornato il 02 agosto 2017 alle ore 12:54