Continua la sfida francese all’Italia

Dove sono finiti quelli che... siamo tutti Macron? Un altro squarcio sfregia il velo liso dell’ipocrisia italiana. Nessuno che avesse un briciolo di onestà intellettuale poteva pensare, come invece ha fatto certa sinistra nostrana, che Emmanuel Macron, una volta divenuto presidente dei francesi, non avrebbe perseguito l’interesse nazionale. Le narrazioni del politically correct su un capo dell’Eliseo europeista fino al midollo si sono rivelate stupidaggini. Non esiste in Macron, come in nessun’altra leadership continentale ad eccezione di quella italiana, alcuna volontà d’integrazione europea che prevalga sull’interesse nazionale. Oggi si fa un gran parlare degli schiaffi che la Francia ha assestato all’Italia in rapida sequenza. Ma si dimentica che in passato altri partner europei hanno avuto nei riguardi del nostro Paese il medesimo atteggiamento arrogante. Solo gli illusi potevano credere a un’Europa-giardino dell’Eden, dove tutti si vogliono bene e si tengono per mano.

La cifra di questa Unione è data dai rapporti di forza tra i partner. A Bruxelles vige una versione evoluta della legge della giungla. La differenza è che al posto delle liane ci sono i cocktail party e non si indossano pelli di leopardo ma blaser e smoking. È inutile, quindi, prendersela con Macron che fa il suo mestiere. Il giovanotto voleva una prova di forza vincente per riequilibrare l’asse di potere con la Germania dopo che con François Hollande all’Eliseo si era inclinato dalla parte dei tedeschi.

A Macron serviva un avversario non troppo piccolo, tale da non far guadagnare punti al vincente in uno scontro diretto e non troppo grande da rischiare di non poterlo battere. Dunque un soggetto abbordabile: praticamente il ritratto spiccicato dell’Italia del centrosinistra. Lo stato d’animo di queste ore di Paolo Gentiloni? Contrariato, incredulo, imbarazzato, irritato. Gli aggettivi si sprecano. Peccato che non siano quelli giusti. Il tono della reazione di Palazzo Chigi all’offensiva francese è la misura del peso geopolitico dell’Italia non nel Mare del Giappone o nell’Oceano Indiano ma nel quadrante del Mediterraneo, cioè fuori l’uscio di casa. La sortita di Macron ha beneficiato della situazione di totale precarietà del quadro politico italiano che vive un’estenuante fase di transizione verso la scadenza elettorale. Come rimediare nell’immediato? Si può fare poco a uova rotte nel cesto. Di certo non le stupidaggini che propongono alcuni quotati esponenti del Partito Democratico, del tipo: riprendiamoci Telecom dalle mani della francese Vivendi.

È il momento della calma ricordando che la vendetta è un piatto che si serve freddo. Si lasci temporaneamente da parte il contenzioso insorto sulla Libia. Sarà l’irriducibile bellicosità dei capi-tribù dello Stato nordafricano a fare strame dell’intesa di Parigi. Sarà l’odio del generale Haftar per “l’ingegnere” al-Sarraj a trasformare l’alzata di cresta del “Napoleone” Macron in una sconfitta. Palazzo Chigi si concentri piuttosto sulla trattativa Fincantieri-Stx. Macron teme di perdere la presa sulla struttura cantieristica di Saint-Nazaire una volta passata al gigante italiano del settore. Nel contempo, il giovane inquilino dell’Eliseo non intende rinunciare ai quattrini italiani che salverebbero l’azienda, già fallita. Per combinare gli obiettivi a proprio vantaggio Macron vuole che la consistenza azionaria di Fincantieri a operazione commerciale conclusa scenda dal 66,6 per cento, concordato in sede d’acquisto dalla società coreana precedente proprietaria dei cantieri, a un più contenuto 50 per cento.

Vorrebbe inoltre che la governance dell’azienda venisse riconsegnata alle autorità transalpine. Dopo il bastone del diritto di prelazione esercitato dal governo francese per fermare il negoziato in corso, Macron usa la carota dell’amicizia franco-italiana inviando a Roma, il prossimo martedì, il suo ministro dell’Economia, Bruno La Maire, allo scopo di appianare i contrasti e convincere il governo italiano ad accettare i suoi desiderata. Speriamo che il trio Gentiloni-Padoan-Calenda, che incontrerà l’emissario dell’Eliseo, non caschi nella trappola. Macron vuole tenere le mani sui cantieri perché li ritiene strategici e allora che se li carichi sul groppone sperando di trovare sul mercato un altro gruppo privato che sia pronto a sborsare denari e know-how per rimettergli in sesto il carrozzone. Ma alle sue condizioni. Provarci è un suo diritto, ma il tempo è galantuomo.

Aggiornato il 28 luglio 2017 alle ore 21:23