Gerusalemme: i metal detector erano solo un pretesto

Il governo Netanyahu ha fatto rimuovere i metal detector all’ingresso della Spianata delle Moschee/Monte del Tempio. Ha fatto rimuovere l’oggetto del contendere. Per protesta contro quei metal detector, sono scoppiati disordini a Gerusalemme e nelle città israeliane del nord, quelle che ospitano il grosso della minoranza araba. Tre morti palestinesi nelle prime proteste a Gerusalemme. Tre israeliani assassinati in casa loro, mentre consumavano la cena sabbatica, a Halamish. E due giordani uccisi, oltre a un israeliano ferito gravemente in un duplice assalto all’ambasciata israeliana di Amman, in Giordania. Altri due morti palestinesi negli scontri successivi (di cui uno ucciso dalla sua stessa bomba). I feriti si contano a centinaia. Secondo una prima stima sarebbero ormai arrivati a 500. Tutto è realmente scoppiato per dei metal detector? E quindi l’ondata di violenza è destinata ad esaurirsi dopo la loro rimozione?

I metal detector in sé, al di là della propaganda, non sono il nocciolo della questione: li usa l’Arabia Saudita per controllare chi entra nei luoghi sacri, li usano gli ebrei per perquisire chi entra al Muro Occidentale. Il problema denunciato è territoriale, piuttosto. Come sempre, quando si guarda al conflitto mediorientale, si tende a prendere la carta millimetrata per vedere i torti e le ragioni territoriali degli uni e degli altri. E questo caso non fa eccezione. Lo scandalo, denunciato dal Waqf (l’autorità religiosa che amministra la Spianata delle Moschee), è una microscopica violazione territoriale. L’installazione di un’apparecchiatura fissa su un territorio sacro all’Islam è stata vista, spiegata e diffusa come un sacrilegio. Ma se gli israeliani avessero usato un altro sistema, come quello proposto dagli Usa (scanner portatili), ci sarebbe stata, forse, una reazione differente? Dall’altra parte, il governo Netanyahu ha respinto al mittente la prima proposta di compromesso proprio per affermare la sovranità israeliana su Gerusalemme, sul suo centro storico, su un luogo sacro a due passi dal Muro Occidentale, cuore dell’ebraismo. E quindi non ha fatto passi indietro sui metal detector.

Ma siamo davvero sicuri che la causa della violenza sia solo quella territoriale? Mettiamo da parte la carta millimetrata, i ragionamenti su quanti metri di territorio sovrano possa rivendicare Israele rispetto al Waqf. La causa prima di questa crisi è il terrorismo. Tre arabi israeliani sono riusciti a introdurre armi nella Spianata delle Moschee/Monte del Tempio e ad aprire il fuoco sui poliziotti di guardia. Due agenti, di etnia drusa, sono morti nell’attentato. È per questo che la Spianata delle Moschee/Monte del Tempio, è stata chiusa al pubblico per il breve periodo delle indagini, poi riaperta, ma con i metal detector. Le guardie del Waqf, che dovrebbero provvedere loro alla sicurezza, non si sono rivelate all’altezza. L’attentato è stato solo blandamente rimproverato dalle autorità palestinesi. In compenso, l’installazione dei metal detector, è stata vista come un sacrilegio e condannata a tutti i livelli: dal Waqf, dall’Autorità Palestinese e persino dalla Giordania, interlocutore principale di Israele. Quella araba è stata una prova di mobilitazione straordinaria: la popolazione araba di Israele è stata posta sul piede di guerra in pochi giorni. Il Waqf ha ordinato la chiusura di tutte le moschee per far confluire la protesta alla Spianata. L’Autorità ha proclamato il giorno della collera. La Giordania ha dato il suo avallo politico. Se c’è una lezione diplomatica da trarre in questa crisi è: Israele non ha interlocutori, se non per motivi tattici e temporanei. La crisi ha avuto una vasta eco internazionale. Le comunità musulmane nelle città europee (inclusa quella di Milano) si sono improvvisamente mobilitate per la “difesa” del terzo luogo santo dell’Islam. E in Turchia si è assistito a scene di sistematica devastazione di sinagoghe come ai tempi dei pogrom.

Quindi si è trattato dell’ennesima prova di forza. L’attentato (mai condannato, ripetiamolo) ha fatto da innesco, i metal detector da pretesto. Quel che è contato è la mobilitazione islamica contro Israele: si è visto che funziona anche a sei anni dalle primavere arabe e dall’inizio delle guerre intra-islamiche. Ma qual è lo scopo di queste mobilitazioni? Lo scopo di fondo è sempre lo stesso: cancellare Israele dal Medio Oriente, a partire dalla cancellazione della memoria della presenza ebraica in quelle terre. Questa crisi segue di appena due settimane la risoluzione dell’Unesco che dichiara “patrimonio palestinese” la Tomba dei Patriarchi di Hebron. Quindi la tomba di Abramo, Isacco e Giacobbe, ufficialmente, non ha più a che fare con lo Stato ebraico. Non per motivi storici, ovviamente, ma politici, per sottolineare che lì, dove sorge il luogo di culto meta di pellegrinaggio degli ebrei di tutto il mondo, ci sarà il futuro Stato della Palestina. Anche la crisi scoppiata nella Spianata delle Moschee è stata l’occasione per la propaganda palestinese per ribadire che: il Tempio non è mai esistito. Dunque la Bibbia ha sempre mentito. Così come gli storici romani che lo hanno visto prima della sua distruzione. Il tutto per affermare, comunque, che gli ebrei non hanno il diritto di vivere in Israele, che la patria ebraica è solo un mito, che quella è “terra islamica” da redimere. Questa è la vera posta in gioco. Non i metal detector.

Aggiornato il 25 luglio 2017 alle ore 21:35