Emmanuel Macron come De Gaulle

Emmanuel Macron o, come dire “La Grandeur Mineure”. Insomma, un Charles de Gaulle senza galloni, né l’aspetto ducesco del grande generale ma, forse, con la stessa grinta. Di recente, la destra gaullista francese, con “Le Figaro” in testa, ha preso recisamente le distanze dal giovane e osannato Presidente, a causa delle dimissioni del suo “chef des armées” (un generale a cinque stelle, che coordina truppe di terra, marina e aviazione francesi) pubblicamente umiliato per essersi opposto al taglio di 800 milioni di euro nel bilancio della Difesa. Mentre, scosso dalle inevitabili polemiche, lo stesso Macron ha fatto passi concreti per una rapida ricucitura con i militari, giocando il ruolo del buono, il suo portavoce, al contrario, si è assunto quello opposto, spargendo sale sulle ferite dell’orgoglio militare francese. Davvero strano, per un “trattativista” duro e puro come lo fu l’ex ministro delle Finanze di François Hollande, capace di portare dalla sua parte la maggioranza dei parlamentari francesi in occasione della presentazione della legge pluriennale di bilancio. Temo che, in questa scelta di ringiovanire i vertici della difesa transalpina, abbia giocato un ruolo fondamentale il desiderio di rafforzare sia all’interno che all’esterno il suo ruolo di decisionista risoluto.

Da un lato, la scelta di potare gli stanziamenti militari non può che incontrare il favore sia dei giovani francesi che hanno scelto il suo “En Marche!”, sia degli oppositori di sinistra che votano Melenchon. Dall’altro, l’iniziativa si muove nella direzione di accreditare la Francia come il più serio partner della Germania, per quanto riguarda le politiche di austerity, guidate però, in questo caso, dal retropensiero di mettere il cappello sulla prossima “éntente” franco-tedesca per una politica comune di difesa, in cui un posto di vitale importanza è riservato allo sviluppo bilaterale di un nuovo aereo militare multiruolo con capofila l’industria aereonautica francese. Affarone, come si può ben immaginare, da svariate decine di miliardi di euro. Sempre sul versante di politica estera, Macron ha già consumato tre passi fondamentali, di cui uno a scapito dell’Italia. Il primo riguarda la ripresa del dialogo con Putin e con Trump che (grazie all’antipatia palese di entrambi i leader per la cancelliera Angela Merkel) pone Parigi al centro dei rapporti trilaterali tra la Ue e le altre due grandi potenze mondiali. Il secondo, invece, va nel solco più propriamente sciovinista-gaulliano della difesa “senza se e senza ma” dei famosi “Campioni” (le grandi imprese strategiche) francesi. Quindi, arroccamento sui monopoli pubblico-privati in Francia, ma mani libere per i grandi gruppi transalpini di dare l’assalto (vedi Telecom) agli asset strategici di altri Paesi “amici”.

La terza direttrice d’attacco riguarda l’offensiva di charme nei confronti del Medio Oriente in fiamme, con particolare riguardo alla ex Libia di Gheddafi, resa oggi fortemente instabile proprio dalle folli politiche interventiste del suo predecessore Nicolas Sarkozy, dalle quali Macron intende oggi redimersi invitando all’Eliseo nientemeno che i due acerrimi contendenti Fayez al-Sarraj e il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica. E si capisce: in Libia, a contendersi giacimenti di petrolio di ottima qualità, non c’è solo l’Eni italiana ma anche e soprattutto la sua concorrente francese, Total. Chi per primo avrà successo nella pacificazione della Libia post-gheddafiana si assicurerà la prima linea assoluta nell’assegnazione di lauti contratti per l’approvvigionamento energetico del proprio Paese. Ovviamente, non si può trascurare il più importante degli effetti indotti derivanti da una pacificazione del principale produttore di petrolio magrebino: ovvero, il controllo e il definitivo arresto degli imponenti flussi di profughi economici dall’Africa e da Paesi distanti anche decine di migliaia di miglia, come il Bangladesh. Macron sa benissimo, a partire dalla crisi di Ventimiglia, che “deve” chiudere le sue frontiere come hanno già fatto in buona sostanza l’Austria e i Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, in ossequio a un rinnovato e immortale asse austro-ungarico), se non vuole alimentare a buon mercato l’ondata xenofoba che ha portato Marine Le Pen oltre il 40 per cento di consensi alle recenti elezioni presidenziali.

Anche in Italia, tuttavia, esiste un forte consenso popolare (espresso da quella Maggioranza silenziosa tanto invisa agli intellettuali di sinistra e alla stampa di regime) per un blocco navale effettivo, inteso ad arrestare flussi immigratori indiscriminati che nulla hanno a che vedere con il rispetto del diritto d’asilo. In tal senso, l’Italia non può accusare Macron di “tradimento”. Rispetto a che cosa? Marina ed Esercito nazionali, infatti, servono a difendere i confini della Patria, in Francia come nel resto dell’Europa. L’egoismo, in realtà, è quello dei “politicamente e filosoficamente corretti” buonisti nostrani che intenderebbero, con la teologia dell’accoglienza indiscriminata, far pagare il conto sociale ed economico agli altri partner europei! Non serve sentirsi offesi, come fa il nostro Presidente del Consiglio. Occorre apparire solo forti e decisi, come tutti gli altri, nella difesa dei nostri interessi nazionali.

Aggiornato il 25 luglio 2017 alle ore 10:41