L’Ue avverte la Polonia contro la riforma della giustizia

C’è ben poco da discutere a questo punto. Senza fraintendimenti, la Commissione europea nella giornata di ieri ha chiesto al governo di Varsavia di sospendere i provvedimenti adottati nelle ultime settimane in materia di riforma della giustizia.

Il vicepresidente dell’organo esecutivo europeo, Frans Timmermans, ha definito la situazione in Polonia talmente grave da essere pronto a chiedere l’attivazione dell’articolo 7 dei Trattati. La procedura prevista dall’articolo 7, nello specifico, prevede una prima fase in cui una maggioranza dei quattro quinti degli Stati membri può constatare un evidente rischio di violazione grave del rispetto dei principi democratici e dello Stato di diritto e, successivamente, nella seconda fase, all’unanimità, può decidere perfino di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato compresi il diritto di voto in seno al Consiglio.

Una presa di posizione da parte dell’Unione europea che il governo polacco aspettava da giorni. Né sono bastate le riunioni diplomatiche per scongiurare una presa di posizione così forte da parte della Commissione. Certo è che la riforma approvata dal governo polacco – ora in attesa di ratifica – compromette i principi sostanziali nella divisione dei poteri in una democrazia europea. I provvedimenti sotto accusa, infatti, prevedono discutibili poteri discrezionali in capo al ministro della giustizia sia nell’indicare i futuri componenti del Consiglio superiore della magistratura che la possibilità di controllare la Corte Suprema. Allo stesso tempo, Bruxelles non può ignorare il crescente malcontento dei polacchi (10mila quelli scesi in piazza solo nell’ultimo fine settimana), per contrastare le decisioni del governo nazionalista guidato dalla premier Beata Szydlo.

Anche se una proposta di mediazione sembra già essere in cantiere, la Commissione è decisa sui suoi passi e quasi certamente la settimana prossima aprirà una nuova procedura d’infrazione che potrebbe preludere all’attivazione dell’articolo 7. Una riflessione però, è d’obbligo. La crescente e inarrestabile ascesa dei populismi da una parte, e dell’autoritarismo governativo dall’altra, ci impone a guardare oltre le singole reazioni (giuste, ci mancherebbe) delle istituzioni europee. Ma davvero bastano le sanzioni economiche per scoraggiare uno Stato a non violare i principi fondamentali dei Trattai europei? Siamo davvero certi che ci sarà l’unanimità in seno al Consiglio laddove si arrivasse alla seconda fase imposta dall’articolo 7?

Rispondere a due domande così apparentemente semplici risolverebbe l’enigma sul futuro dell’Unione europea. Una cosa però è certa, l’Ungheria ha già manifestato la sua solidarietà alla Polonia. Forse l’articolo 7 non è la risposta giusta neanche questa volta.

Aggiornato il 20 luglio 2017 alle ore 22:23