Tra conflitti armati e guerre commerciali

Donald Trump e Vladimir Putin hanno dialogato per oltre due ore lo scorso 7 luglio, in margine al G-20 di Amburgo, nell’imminente pericolo di uno scontro militare tra le due maggiori potenze nucleari sui fronti caldi in Siria e in Europa Orientale. Dopo la riunione, il segretario di Stato americano Rex Tillerson e il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov hanno dichiarato di aver trovato un accordo sull’interruzione delle ostilità nella Siria sud-occidentale, mentre il presidente Putin, nell’ambito di una conferenza stampa congiunta con il primo ministro giapponese Shinzo Abe, ha affermato di aver discusso con Trump anche di Ucraina, web-security e lotta al terrorismo.

I risultati di questo incontro sembrano aggravare la lotta politica all’interno della classe dirigente americana, circa l’atteggiamento da adottare nei confronti della Russia; lo scontro è esploso all’elezione di Trump ed è incentrato sulle divergenti posizioni in merito alla politica estera e militare statunitense. Trump ha parlato di una fazione che vuole avvicinare la Russia per concentrare l’aggressività degli Stati Uniti contro la Cina; i suoi avversari – le sezioni dominanti dell’apparato di intelligence, in alleanza con il partito democratico e un segmento dei repubblicani – vogliono invece scatenare dapprima il conflitto con la Russia, vedendo nella neutralizzazione di essa una condizione essenziale per regolare i conti con il più serio rivale dell’imperialismo americano: la Cina, per l’appunto.

Dispute rischiose tra le potenze del G-20 esistono praticamente in ogni angolo del globo, includendo anche l’attuale contrasto tra le truppe indiane e cinesi su una striscia di confine sull’altopiano dell’Himalaya, dove i territori dei due Paesi si congiungono con quelli del Bhutan. Tuttavia, dopo che Trump ha minacciato l’U.E. di introdurre tariffe sulle sue esportazioni di acciaio verso gli Stati Uniti e – di tutta risposta – i funzionari europei hanno dichiarato di aver predisposto un elenco di tariffe sui beni statunitensi, si ha l’impressione che i conflitti a più alto rischio per la stabilità internazionale riguardino proprio le crescenti minacce di guerra commerciale.

Con una lettera inviata al Congresso nel maggio di quest’anno, il delegato americano al commercio Robert Lighthizer ha aperto formalmente il periodo di consultazione di novanta giorni prima che avesse inizio la rinegoziazione dell’accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA – North American Free Trade Agreement), siglato nel 1994 dal presidente Clinton. La mossa è scaturita da un impegno preso da Trump in campagna elettorale, durante la quale aveva attaccato il Messico per aver “rubato” posti di lavoro agli americani; da quando si è insediato alla Casa Bianca, ha intrapreso provvedimenti per offrire sgravi fiscali alle imprese nazionali ed altri incentivi per impiantare, mantenere o ampliare la produzione negli stabilimenti statunitensi.

Washington sta cercando di rinegoziare il NAFTA per rafforzare gli interessi delle proprie aziende attraverso l’adozione di misure nazionalistiche di protezionismo economico. Trump ha chiarito che non è solo questione di scambi nel Nord America; gli sforzi diplomatici si estenderanno a livello globale per mantenere la posizione egemonica contro i rivali emergenti, soprattutto Cina e Germania, nel contesto di un drammatico rafforzamento del protezionismo economico in tutto il mondo.

I funzionari dell’amministrazione Trump, compreso il Segretario del Tesoro, hanno insistito sulla rimozione di ogni riferimento alla lotta al protezionismo nel testo degli accordi raggiunti nelle recenti riunioni internazionali, tra cui la riunione dei ministri delle finanze del G-20 nel Baden-Württemberg e la riunione primaverile del Fondo Monetario Internazionale. Ciò ha determinato un forte aumento delle tensioni tra Stati Uniti e Unione Europea (al cui carro l’Italia è saldamente agganciata) poiché la Germania, in particolare, che ha fondato la propria economia sulle esportazioni, ha criticato le politiche di Trump e ha minacciato di rispondere aspramente all’adozione di qualsiasi barriera tariffaria.

I colloqui del NAFTA saranno resi ancor più incerti dalla crisi politica in corso a Washington. Sotto la pressione dei democratici e dell’apparato di intelligence, il rischio di bruschi spostamenti nella politica estera dell’amministrazione Trump – che si aggrappa a specifici punti di attrito per infastidire i rivali economici e distogliere l’attenzione dalle difficoltà interne – non può essere escluso. Allo stesso tempo, alcune sezioni del partito democratico americano sono ugualmente impegnate nel promuovere misure protezionistiche; ma a prescindere da tali spostamenti, le tensioni degli ultimi mesi potrebbero risultare difficili da controllare.

Aggiornato il 18 luglio 2017 alle ore 21:25