Turchia sempre più anti-europea

La Turchia sta violando a tal punto i diritti umani, da arrestare persino una delle principali osservatrici sui diritti umani. Ieri, infatti, è stata arrestata Idil Eser, direttrice di Amnesty International Turchia. Il fermo è avvenuto in un hotel di Buyukada, una delle isole al largo di Istanbul, durante un seminario di formazione. Assieme alla direttrice di Amnesty, sono state prese anche altre 11 persone, fra cui due europei: un istruttore svizzero e uno tedesco. L’arresto è avvenuto, per tutti, senza neppure conoscere i capi d’accusa. Immediata la nota di protesta della Ong per i diritti umani più famosa del mondo: “Siamo profondamente indignati e turbati dal fatto che alcuni leader a difesa dei diritti umani in Turchia, inclusa la direttrice di Amnesty International, siano stati fermati senza motivo”.

Non è la prima volta che Amnesty finisce nel mirino delle autorità turche. È di appena un mese fa la notizia dell’arresto, a Smirne, dello stesso presidente di Amnesty Turchia, Taner Kilic. La procura, in quell’occasione, aveva emesso mandati di cattura per 22 avvocati. L’accusa, per tutti, era quella di aver avuto legami col movimento guidato da Fethullah Gülen, sospettato di aver ideato il fallito colpo di stato del luglio 2016.

La notizia dell’arresto della Eser arriva, per una fortunata “coincidenza”, nello stesso giorno in cui il Parlamento Europeo vota una risoluzione in cui chiede la sospensione dei negoziati di adesione con la Turchia, “se il pacchetto di riforme costituzionali (voluto dal presidente Recep Tayyip Erdogan, ndr) sarà attuato senza modifiche”. La risoluzione è stata approvata quasi all’unanimità. Hanno votato a favore 477 europarlamentari, 64 i contrari e 97 gli astenuti.

Una notizia giunge a conferma dell’altra. Da un lato, diranno gli avvocati del dialogo euro-turco, privato della sua sponda negoziale europea, l’esecutivo islamico turco perde sempre di più il suo volto democratico e si comporta da regime autoritario, con arresti arbitrari, sospensione dei diritti, purghe di massa, censura, rapporti ambigui con il terrorismo e con tutti i nemici dell’Occidente. Dall’altro, proprio l’arresto di ieri è l’ennesima dimostrazione che con questa Turchia, con un Paese che sta peggiorando a vista d’occhio soprattutto nell’ultimo anno, non è più possibile negoziare. Se vengono a mancare i presupposti dello Stato di diritto, l’Ue, per suo stesso regolamento, ha diritto di sospendere ogni negoziato. D’altra parte è una comunità di democrazie liberali e si snaturerebbe ad ammettere una nazione ormai pienamente autoritaria.

Il braccio di ferro tra la Turchia e l’Ue non nasce con gli arresti dei dirigenti di Amnesty International, ma molto prima. Prima del golpe del luglio 2016, quando Erdogan, con la sua proposta di riforma costituzionale, accentratrice di gran parte del potere nelle mani del presidente, ha iniziato a far letteralmente piazza pulita dei suoi rivali politici. Con la censura sempre più stretta sui media, con l’eliminazione dell’immunità parlamentare, con le sparizioni e i “suicidi” sospetti di giornalisti e rivali. Il 2016 è stato l’anno nero della Turchia, quanto ad attentati terroristici sia islamici che curdi e dopo ogni bomba sono sparite garanzie di diritti e libertà. Erdogan e il partito Akp ha riscritto le regole per eliminare l’ostacolo dei curdi democratici dell’Hdp, che costituivano il maggior bastone fra le ruote in parlamento. Il presidente si era sbarazzato del suo stesso premier, licenziato poco prima del golpe, Erdogan si era già trasformato in una sorta di autocrate elettivo prima dell’estate del 2016. L’Ue e la Turchia erano già ai ferri corti a questo punto, quando si doveva negoziare un accordo sui rifugiati siriani, che i turchi avrebbero dovuto trattenere sul loro suolo (per evitare che saturassero la Grecia) in cambio di sei miliardi di euro e di una liberalizzazione dei visti. Quest’ultima non è mai stata concessa ad Ankara, proprio per la violazione dei diritti umani tramite le leggi anti-terrorismo. Amnesty International stessa, allora, protestava per l’accordo raggiunto, perché Ankara non forniva garanzie neppure sul rispetto dei diritti dei rifugiati di guerra siriani, spesso rimpatriati senza motivo.

Il fallito golpe del 14-15 luglio dell’anno scorso non ha fatto altro che accelerare questa deriva autoritaria della Turchia. Non solo per la purga di ufficiali, magistrati, insegnanti, giornalisti, spesso arrestati o licenziati senza alcun motivo, solo perché sospettati di complicità con i golpisti. Ma anche perché Erdogan e il suo partito hanno trasformato l’Europa in un loro campo di battaglia: intimidendo e attaccando i rivali politici espatriati, attaccando le loro sedi all’estero, organizzando manifestazioni anche molto aggressive con la partecipazione di ministri del governo. La Francia ha lasciato fare, l’Olanda, la Danimarca e la Germania no, facendo scoppiare la peggior crisi diplomatica fra Ankara e l’Ue nel suo complesso.

Da un punto di vista strategico, la Turchia sta flirtando sempre più esplicitamente con i nemici dell’Ue e della Nato. Quando i Paesi del Golfo, su spinta americana, hanno isolato il Qatar (per il suo appoggio al terrorismo islamico e le sue relazioni pericolose con l’Iran), la Turchia, assieme all’Iran, ha subito fornito il suo appoggio all’emiro in difficoltà. Confermando, ancora una volta, quanto è ambiguo il ruolo turco nella lotta al terrorismo. Inoltre, Ankara sta perfezionando l’acquisto dei nuovi sistemi anti-aerei russi S-400. Non sono solo singole armi, ma si tratta di un sistema integrato, che necessariamente avvicinerà il Paese anatolico alla Russia, con una difesa aerea condivisa. Comporterà difficoltà non solo tecniche, ma anche diplomatiche nella partecipazione della Turchia nella Nato.

Aggiornato il 07 luglio 2017 alle ore 13:43