Rottura nel mondo sunnita: le implicazioni

Siamo abituati a vedere una profonda divisione nel mondo islamico, quella fra sunniti e sciiti. Ora assistiamo a un fatto nuovo, di grande importanza. Una rottura profonda all’interno del mondo sunnita. Il 5 giugno scorso, gli Stati sunniti del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Yemen e Bahrein, pur essendo, quest’ultimo, un Paese a maggioranza sciita ma governato da una monarchia sunnita) assieme all’Egitto, hanno rotto le relazioni diplomatiche con il piccolo ma ricchissimo Qatar, anch’esso uno stato sunnita. Non si tratta solo di interruzioni delle relazioni diplomatiche, ma questo evento intendeva produrre un vero e proprio isolamento, a tutti gli effetti, del Qatar. Chiusura del suo confine terrestre (l’unico che unisce il Qatar al resto del mondo); totale sospensione dei collegamenti marittimi e del traffico aereo (Emirates, Etihad Airways, Saudi Arabian Airlines, Flydubai) con Doha; esclusione del Qatar dalla coalizione araba che opera nello Yemen contro i ribelli Houthi che, appoggiati dall’Iran, ne controllano la parte occidentale.

Questi Paesi hanno anche chiesto ai cittadini del Qatar di lasciare i propri territori entro due settimane e l’Egitto ha dato 48 ore all’ambasciatore del Qatar per lasciare il Paese. È stato un vero terremoto nel mondo sunnita, anche perché ai Paesi summenzionati, se ne sono poi aggiunti degli altri (Mauritania, Giordania, Maldive, Libia Orientale). E ciò a due settimane dalla visita di Donald Trump a Riad (ne evidenzieremo le implicazioni), ove aveva chiesto ai Paesi musulmani di agire decisamen6e contro l’estremismo religioso, mettendo sullo stesso piano Iran ed Isis, e sorvolando sulla sistematica violazione dei diritti umani che persistono nel mondo arabo. La motivazione ufficiale invocata da questi Paesi proverrebbe dal fatto che il Qatar finanzierebbe la Jihad e viene accusato, quindi, di sostenere il terrorismo (Isis e al-Qaida). Ed, inoltre, proteggerebbe i Fratelli Musulmani, operanti soprattutto nell’Egitto del presidente al Sisi. Inoltre tramite i suoi media (il riferimento è alla tv Al Jazeera), il Qatar diffonderebbe una visione estremista dei problemi esistenti e appoggerebbe i gruppi estremisti armati, sostenuti dall’Iran, che operano nella regione.

Il Qatar, è ovvio, ha reagito smentendo tutte queste accuse ed affermando, inoltre, che le condizioni poste sarebbero state una violazione della sua sovranità perché avrebbero messo sotto tutela lo stato del Qatar. È soprattutto la politica indipendente, in politica estera, del Qatar (ritenuta troppo vicina all’Iran) che veniva messa sotto accusa, mentre gli altri Paesi musulmani, Arabia in testa, sostenevano, invece, che Teheran era all’origine di tutti i mali della penisola araba.

Questa crisi nel mondo sunnita, non è solo una limitata questione regionale, ma comporta un coinvolgimento di tutto il Medio Oriente, per le guerre che vi si stanno combattendo, ed implicazioni ampie per tutto il mondo occidentale.

Il maldestro intervento di Donald Trump

A Riad, nella sua visita, Trump aveva fatto propria la visione saudita delle problematiche del Medio Oriente (quella che Obama aveva sempre evitato di sostenere), cioè l’Iran “causa” di tutti i mali in Medio Oriente. Dimenticando che la versione saudita (più esattamente, wahabita) del sunnismo, era stata all’origine del terrorismo e che Riad non aveva ancora chiarito tutti i rapporti oscuri esistenti con l’estremismo. Nonostante questo, Trump, con due maldestre Twitter, si è, addirittura, attribuita la paternità della messa al bando del Qatar da parte degli altri Paesi sunniti. Anche se il Segretario di Stato e il Segretario della Difesa hanno cercato di smorzare i toni usati da Trump, queste Twitter costituiscono un fatto grave, a livello diplomatico. Trunp, infatti, ha accusato (“tutte le prove sono puntate contro il Qatar”) un Paese, fino a quel momento alleato degli Stati Uniti e dove gli Usa hanno la loro più grande base militare del Medio Oriente. È di tutta evidenza che la situazione sia stata gestita in maniera molto improvvisata, oltre che confusionaria, da Trump. Non tanto per i problemi che gli Usa potrebbero avere per la loro base militare in Qatar, quanto perché la facilità con cui Trump ha “scaricato” il Qatar, potrebbe incutere negli altri alleati il timore di essere abbandonati, in modo repentino

Alcune implicazioni dello scontro tra Qatar e gli altri pesi sunniti

Iniziamo con la crisi libica. I riflessi della rottura tra Qatar e gli altri Paesi sunniti si faranno sentire pure in Libia, ingarbugliando ulteriormente la già difficile ricerca di una soluzione alla crisi libica.

Egitto ed Emirati Arabi Uniti, infatti, hanno appoggiato, e sostengono ancora, il potente generale Haftar che, come espressione del parlamento di Tobruck, controlla la parte orientale della Libia e che asserisce di voler lottare contro il terrorismo e contro l’estremismo islamico. (Non dimentichiamo che Haftar è sostenuto anche dalla Russia). Il Qatar, invece, ha appoggiato, ed appoggia ancora, un gruppo di forze islamiste che controlla alcune parti dei territori della Libia Occidentale, cioè quella governata dal Governo di Unità Nazionale, riconosciuto dall’Onu. La riappacificazione della Libia, a cui l’Italia è molto interessata per svariati motivi, viene così complicata ulteriormente. Ma la rottura tra Qatar e gli altri Paesi sunniti, ha dato anche l’occasione al presidente turco Erdogan d’intervenire in difesa del Qatar. (Ricordiamo che la Turchia è un Paese a maggioranza sunnita). Come è noto, in Siria, l’Iran è strenuo difensore di Assad, mentre la Turchia appoggia apertamente i ribelli sunniti. Ma il corso della guerra in Siria è stato profondamente alterato dall’intervento russo a sostegno del regime, che stava per collassare, ma che, ora, si prepara, addirittura, a riconquistare i territori sottrattigli dalle formazioni ribelli. Anche il fronte sunnita dei Paesi del Golfo, è stato costretto a subire il mantenimento di Assad che essi avevano cercato di far cadere. Il ruolo della Turchia, dopo l’intervento russo a favore di Assad, è diventato molto ambiguo. Costretta a mantenere Assad, ha tradito la causa dei ribelli sunniti e si è concentrata nell’impedire la nascita di un’entità curda, al suo confine meridionale. Così, però, Erdogan è stato costretto ad assecondare il disegno egemonico dell’Iran che si presenta come il protettore del mondo sciita (Iraq, Siria, Libano), pur se gli interessi di Turchia ed Iran sono contrapposti.

Ma la rottura tra Qatar e gli altri Paesi sunniti dell’area del Golfo, ha dato l’occasione a Erdogan di ergersi a difensore del Qatar, affermando che non è vero che il Qatar sostiene il terrorismo. Inoltre, mentre le frontiere tra Arabia Saudita e Qatar venivano chiuse dai soldati di Riad, il parlamento di Ankara ha approvato in tempi record una legge che dà il via libera allo stanziamento, presso una base militare già esistente nei pressi di Doha, di un contingente di soldati turchi il cui numero oscilla tra le tremila e le cinquemila unità. È un tentativo di uscire dalla sua ambiguità, ma con una mossa ancora più ambigua. Ricordiamoci, infatti, che il Qatar fin dall’inizio delle cosiddette “primavere arabe” ha appoggiato sia gruppi islamisti in Siria e in Libia, sia i Fratelli Musulmani, presenti in forze in Egitto, che si presentavano come oppositori dei regimi autoritari dei loro Paesi e contrari agli interessi delle altre monarchie del Golfo. Erdogan vorrebbe in questo modo ergersi come mediatore per risolvere la profonda crisi fra i Paesi sunniti.

La rottura dei Paesi sunniti dell’area del golfo con il Qatar, se accompagnata da una lettura più attenta dei fatti, si presenta gravida di conseguenze, anche per molti Paesi, Italia compresa.

Aggiornato il 28 giugno 2017 alle ore 11:06