Stragi mancate: quante bombe umane vivono fra noi?

Due attentati falliti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, a Parigi e Bruxelles. Il primo era condotto da un jihadista che ha speronato una camionetta della polizia. L’attentato è fallito perché l’incendio della sua auto-bomba artigianale non ha innescato l’esplosione delle bombole del gas che aveva a bordo e dunque ha causato la morte del solo attentatore. A Bruxelles, un uomo ha provato a far esplodere una bomba artigianale, trasportata nel suo zaino, a ridosso di una folla di passeggeri alla stazione ferroviaria centrale. Non riuscendoci e mancando la strage, con gran determinazione suicida si è lanciato contro i soldati di guardia urlando “Allah Akhbar”. Ed è stato colpito a morte. Due stragi mancate, dunque. Non perché le forze di sicurezza dei due paesi europei siano riuscite a prevenire, ma per la maldestria degli attentatori.

C’è un elemento che accomuna le due mancate stragi (oltre al fatto che siano mancate), l’attentato del London Bridge, la strage di Manchester e l’attacco di fronte a Westminster e quasi tutti i fatti di sangue in Europa occidentale in cui sono protagonisti terroristi jihadisti: tutti gli attentatori erano ben noti alle forze di sicurezza dei paesi in cui hanno colpito. Il marocchino belga, del quartiere Molenbeek, che ha cercato di uccidere i passeggeri nella stazione centrale di Bruxelles, era un 36enne noto alle forze dell’ordine per la sua radicalizzazione, anche se non era considerato una minaccia imminente. Il jihadista di Parigi che si è lanciato con l’autobomba contro la camionetta della polizia sugli Champs Eysées era noto ai servizi segreti come un radicale islamico pericoloso sin dal 2013 (secondo alcune fonti), o almeno sin dal 2015.

Gli attentatori del London Bridge, fra cui l’italo-marocchino Youssef Zaghba erano tutti segnalati. Zaghba era stato arrestato dalla polizia italiana nel marzo del 2016, all’aeroporto Marconi di Bologna, mentre cercava di raggiungere la Siria via Turchia. Assolto dall’accusa di terrorismo internazionale per mancanza di prove, era comunque stato segnalato dagli italiani ai colleghi della sicurezza britannica. Un altro attentatore del London Bridge, Khuram Butt, era stato addirittura ripreso nel documentario di Channel 4 “Jihadisti della porta accanto” sull’estremismo islamico in Gran Bretagna. Salman Abedi, lo stragista di Manchester, era ben noto ai servizi segreti britannici, provenendo da una famiglia di jihadisti libici e legato a un gruppo radicale islamico attivo sia in Libia che in Gran Bretagna. Khalid Masood, l’attentatore di Westminster, secondo alcune fonti britanniche era sotto osservazione dei servizi britannici sin dal 2013, per un fallito complotto a Luton.

Sono tante queste bombe ad orologeria umane, pronte a trasformarsi in attentatori suicidi, ad uccidere immolandosi. Quanti potrebbero essere nel nostro paese, finora fortunatamente risparmiato da questi attacchi? Tanti. Molti più di quanto si creda. Secondo il ministro della Giustizia Orlando, in un’audizione alla Camera tenuta il febbraio scorso, in Italia ci sono 393 detenuti sottoposti a monitoraggio nelle carceri , di cui 175 “a forte rischio di radicalizzazione”. 46 sono sottoposti a regime detentivo di alta sicurezza perché accusati di terrorismo internazionale. Dei 393 detenuti sotto osservazione “per rischio di radicalizzazione violenta o proselitismo in carcere”, “la maggioranza – aveva scritto il ministro Orlando – è nata in Tunisia (115), Marocco (105), Egitto (27). Ma ce ne sono anche 14 nati in Italia, di cui tre con cognome di origine straniera”. Per 130, specifica il ministro, “non sono emersi segnali concreti di radicalizzazione; restano però sospettati e sottoposti ad osservazione”. Mentre “88 soggetti, non ancora classificati come radicalizzati, hanno manifestato concreti e ripetuti atteggiamenti, anche in occasione di gravi attentati, che fanno presupporre vicinanza all’ideologia jihadista e quindi propensione alla attività di proselitismo e reclutamento”. Poi ci sono quelli scarcerati e considerati potenzialmente pericolosi dai nostri servizi segreti e sono fra i 400 e i 500, a piede libero. Infine c’è la zona grigia dei radicalizzati, tutti in libertà, che sono fra i 1000 e i 2000.

Prevenire è importante, ma: come? Gli attentati di Westminster, Manchester, London Bridge, i falliti attentati di Parigi e quello di martedì a Bruxelles, sono tutte dimostrazioni che i normali strumenti di indagine e l’ordinaria giustizia civile non sono strumenti adatti alla prevenzione del terrorismo. Non si può arrestare una persona in base a presunte intenzioni. Anche la stessa rete di conoscenze in ambienti jihadisti, il consumo di propaganda jihadista, la predicazione all’odio, sono tutte zone grigie: dove comincia il reato? Dove è solo processo alle intenzioni? Sono dilemmi che, all’indomani dell’11 settembre, non trovano ancora una risposta.

Aggiornato il 22 giugno 2017 alle ore 11:05