Macron senza rete

Nel senso che, secondo i dati definitivi del Ministero dell’Interno francese, il neo presidente non può vantare l’alibi di una maggioranza parlamentare ristretta, per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica interna e internazionale eventuali fallimenti futuri dei suoi progetti di riforma dell’economia e del mondo del lavoro. Infatti Macron, con i suoi 349 deputati (di cui 42 attribuiti al Partito alleato dei MoDem) su 577 seggi, dispone di un potere quasi-monarchico che lo dota di fatto dei “pieni poteri”, tenuto anche conto che la prima verifica elettorale sarà da qui a due anni, con le elezioni europee del 2019. Indubbiamente, il nuovo inquilino dell’Eliseo è destinato a regnare per i prossimi cinque anni su di un’opposizione divisa e litigiosa, non in grado di contrastare in alcun modo l’attuazione del suo programma di legislatura. Questa libertà di azione rappresenta per lui un’opportunità formidabile, ma è pur vero che “a maggioranza assoluta corrisponde responsabilità assoluta!”, come sostiene in prima pagina “Le Figaro” del 19 giugno. Quindi, in pratica, Macron avrebbe tutti gli assi nella manica, tranne uno, a conti fatti: Rem (“République En Marche!”) pesa all’incirca il 30 per cento del 50 per cento dei voti validamente espressi al secondo turno dello scorso 18 giugno, dato che la metà del corpo elettorale francese (per la precisione, il 57,36%) si è astenuto.

D’altra parte, non si può dire che un’astensione tanto elevata sia, in qualche modo, direttamente proporzionale a un’ostilità politica vera e propria di fondo, come evidenzia il Financial Times del 19 giugno scorso. Insomma, sembrerebbe che gli elettori, con il loro atteggiamento, vogliano offrire una chance al nuovo presidente. Lo scenario attuale tende, in altri termini, a ispirare la conclusione che una certa Francia “plebea” largamente maggioritaria si sia come ritirata volontariamente sull’Aventino dato che, a conti fatti, Macron con i suoi candidati non ha suscitato grande entusiasmo, né sulla sua persona, né tantomeno sul suo programma. Altro aspetto inedito: più del 40 per cento dei nuovi parlamentari sono donne, e sarà piuttosto interessante conoscere in merito i futuri orientamenti dell’assemblea sui temi più in vista dei prossimi lavori parlamentari, tenuto conto che la tabella di marcia di Macron prevede la presentazione entro l’estate di un progetto di legge per la nuova (e, si prevede, contestatissima) regolamentazione del mercato del lavoro.

Anche se, al contrario di quanto accadde in Italia nel 1992, dove i grandi Partiti come Dc e Psi furono azzerati dalle inchieste dei procuratori di “Mani Pulite”, sono stati gli elettori francesi in prima persona a decidere una spietata “decimatio” che ha cancellato in buona sostanza dal Parlamento i grandi Partiti storici francesi. Come, ad esempio, il Ps (passato dai precedenti 284 seggi agli attuali 30) e i centristi, con la sola eccezione dei Républicains gollisti che hanno resistito alla falcidie, mantenendo 112 dei 199 seggi che vantavano nella precedente legislatura. Invece, le ali estreme, Mélenchon per l’ultrasinistra (17 seggi) e Le Pen per l’estrema destra (8 seggi) alla fine hanno ottenuto appena un riconoscimento alla.. carriera, rispetto alle straordinarie performance del primo turno delle presidenziali. Avendo fatto una scelta radicale, sia in un senso (il plebiscito elettorale per Rem che si presentava per la prima volta alle elezioni), sia nell’altro, ovvero attraverso un’astensione record, la Francia profonda sembra voler trattenere il respiro.

Nondimeno, va detto (e sia di monito al caso italiano!) che i neo eletti di Rem hanno massimamente beneficiato del meccanismo del ballottaggio, avendo un po’ ovunque superato al primo turno la soglia del numero minimo di consensi ricevuti che, per la legge elettorale francese sui collegi uninominali a doppio turno, deve essere non inferiore al 12,5 per cento degli aventi diritto al voto iscritti nella circoscrizione elettorale. La vera sfida di Macron è di condurre a termine le riforme promesse per liberare l’economia dagli innumerevoli ostacoli che l’affliggono, senza tuttavia precipitare le categorie popolari in una sorta di pesante secessione politica, densa di rischi per l’avvenire. Infatti, il vero problema di un periodo senza scadenze elettorali intermedie è rappresentato dal fatto che le eventuali proteste, contro le future riforme di Macron, potrebbero prendere in futuro strade meno indirette, come quelle delle manifestazioni di massa.

D’altra parte, i francesi con Macron sembrano aver esaurito tutte le possibili alternative politiche (sinistra, destra e centro hanno sempre dominato la scena della V Repubblica), e non si riesce a immaginare che cosa potrebbe accadere se anche l’attuale presidente dovesse fallire.

Aggiornato il 21 giugno 2017 alle ore 22:58