Attentato ad Alexandria: due violenze, due misure

Ad Alexandria, sobborgo meridionale di Washington, sul lato virginiano del Potomac, i media e il grande pubblico hanno scoperto che “anche” la sinistra radicale è violenta e ha i suoi militanti pronti a sparare su politici repubblicani. L’attentato del 14 giugno, durante gli allenamenti per la partita di baseball amichevole fra Democratici e Repubblicani, si è concluso con la morte del solo attentatore, James Hodgkinson, 66 anni, colpito e ucciso dalla polizia. Molta la paura e cinque i feriti, fra cui anche il capogruppo repubblicano alla Camera, Steve Scalise. Si sono salvati, prima di tutto, perché Hodgkinson sparava male, non era un professionista e non sapeva maneggiare bene le due bocche da fuoco che si era portato dietro. Ma il rischio della strage di Repubblicani c’è stato, perché i deputati prestati al baseball erano soli e in campo aperto. La squadra è stata salvata solo dall’intervento dei poliziotti di scorta a Scalise (ringraziati dal libertario Rand Paul, che la polizia vorrebbe privatizzarla, se potesse). Hodgkinson, ferito mortalmente, è morto in ospedale poche ore dopo.

Benché non avesse lasciato alcuna rivendicazione scritta (non ne è stata trovata alcuna, almeno finché questo articolo va in stampa), era chiarissimo il movente dell’attentatore. Hodgkinson, a giudicare dal suo profilo Facebook, era un militante della sinistra radicale. Ha fatto tutte le marce dell’ala più progressista dei Democratici. Vicino al movimento Occupy, aveva come copertina della sua pagina, la foto che lo ritraeva con il cartello “Tassa i ricchi! Quello che il Congresso ha sempre fatto per 70 anni prima che arrivasse Reagan e la sua teoria del trickle down”, cioè la teoria, babau della sinistra, secondo cui i ricchi, producendo beni, servizi e posti di lavoro, arricchiscono anche i poveri. Benestante, abitava in una casa con piscina dove teneva feste con i suoi amici, però non sopportava i “ricchi”, non sopportava il “sistema”, benediva “il 99 per cento” che secondo la visione del mondo della sinistra radicale è spogliato da quell’uno per cento di popolazione super-ricca che deterrebbe quasi tutta la ricchezza del mondo.

Questo concentrato ideologico è scoppiato quando è sceso in campo Donald Trump: ricco, fiero di esserlo, conservatore e fuori da ogni grazia del politicamente corretto. La bacheca del militante Hodgkinson si è riempita di materiale “mai Trump”, poi anche “distruggi i Repubblicani” in senso lato. Nella campagna delle primarie, era un supporter di Bernie Sanders, il candidato di estrema sinistra del Partito Democratico. Finché Trump non ha vinto realmente e allora qualcosa deve essere esploso nella sua mente. “Non abbiamo bisogno e non meritiamo un presidente miliardario”, aveva scritto a dicembre. “È tempo di distruggere Trump e la sua cricca”, aveva ribadito in marzo. Fino alla decisione estrema di uccidere materialmente deputati della destra americana, in una missione palesemente suicida.

Quella di Alexandria non è solo una storia di un attentato dell’estrema sinistra. È anche l’imbarazzante vicenda di una doppia narrazione. Sei anni fa, in occasione del tentato omicidio di Gabrielle Giffords, democratica, ferita quasi mortalmente l’8 gennaio 2011 da un folle, i quotidiani e il mondo politico avevano puntato il dito contro l’ideologia che avrebbe (secondo loro) motivato l’attentatore. Eppure, Jared Lee Loughner non era un militante politico. Non si capisce ancora a quale partito appartenesse idealmente.

Nel caso di questa sparatoria, al contrario, Hodgkinson ha palesemente sparato per motivi politici, ma i media puntano il dito contro il singolo uomo che ha premuto il grilletto. Nessuno nega che fosse un militante democratico di estrema sinistra, ovviamente. Ma quasi mai, l’ideologia è identificata dalla stampa come il vero movente. I giornalisti rimestano nel suo passato, nel suo carattere, nei suoi precedenti penali: arrestato per rissa e minaccia a mano armata nel 2006, segnalato più di una volta per violenze domestiche, arrestato per guida in stato di ebbrezza nel 1992. A marzo il suo vicino di casa lo aveva denunciato alla polizia, perché si esercitava col fucile troppo vicino alle case. Insomma, uno squilibrato: questo è il ritratto che emerge. Ma nel caso dell’attentato alla Giffords, la storia e la stabilità mentale dell’attentatore Jared Lee Loughner, interessavano meno. Interessava di più attaccare Sarah Palin, finita nel mirino (politicamente) perché aveva pubblicato manifesti elettorali in cui i suoi diretti rivali democratici erano fotografati in un mirino (in senso figurato). E allora: avanti con gli articoli sulla illegittimità e sul rischio di una retorica bellicosa. Il dibattito si è poi spostato contro la politica repubblicana in difesa della libertà di portare armi. Soprattutto: dell’attentato alla Giffords se n’è parlato per anni. E nel 2012, una nuova unità della marina militare americana è stata varata a suo nome. Al contrario, già un giorno dopo Alexandria la sparatoria sta finendo in fondo alle cronache.

Perché si deve evitare l’emulazione? O semplicemente perché non si vuole affrontare il tema che invece va affrontato, cioè la violenza politica della sinistra radicale? Perché è un problema serio, invece, che si palesa tutti i giorni: le scritte “Kill Trump” sui muri delle case e delle università, le conferenze interrotte da manifestazioni violente, i pestaggi di simpatizzanti repubblicani, le copertine di giornali patinati che inseriscono (come una Sarah Palin qualsiasi) la testa di Trump inquadrata nel mirino di un fucile. Questa non è retorica violenta e incendiaria? O si vuol dire, per caso, che sono i discorsi di Trump che istigano la violenza (contro lui stesso)?

Aggiornato il 15 giugno 2017 alle ore 21:56