Macron: l’anti-Renzi

Chi non si somiglia si piglia? No, in genere, se colui che desidera assomigliare a qualcun altro non tiene conto dei suggerimenti dello specchio. Fuori di metafora, fin da questi primissimi esordi, Macron dimostra uno smaliziato talento di gran tessitore nel procedere con passo felpato (come nel suo stile) ad affrontare il primo e più rilevante corno delle sue riforme, ben delineate e spiegate in campagna elettorale. Stiamo parlando nientemeno che della modifica del Codice del Lavoro francese (tentata invano dagli ultimi tre Presidenti, travolti dalla protesta sociale conseguente), per garantire maggiore flessibilità sul mercato del lavoro rafforzando gli accordi decentrati tra aziende e lavoratori. In pratica, fatte le debite proporzioni, è come se in Italia si tentasse di liquidare definitivamente l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Al contrario delle trascorse prove di forza del nostro sedicente “uomo solo al comando” (Renzi) con l’editto del “Jobs Act” per decreto, il nuovo Presidente francese, distanziandosi nettamente dallo stile incerto e altalenante del suo predecessore, ha avviato una politica di charme e di progressivo coinvolgimento delle rappresentanze sociali e sindacali (alle quali ha già sottoposto i suoi progetti di legge), in merito a quella che si annuncia essere la più delicata e incisiva riforma del suo quinquennato.

Gli sherpa di questo ravvicinamento discreto sono i suoi stessi ministri di primo piano e, finora, le estreme (Mélenchon e Le Pen) della politica francese hanno reagito con grande prudenza, avvertendo l’aria di un profondo cambiamento nel clima sociale di una Francia che, non volendo più essere immobilista, è pronta a garantire sorprendentemente una solida maggioranza parlamentare alla “République en marche” di Macron (che otterrebbe più di 400 seggi su di un totale di 577, secondo recenti sondaggi!), per tutte quelle riforme indispensabili che ne rafforzino la leadership in Europa. Ma è Wall Street Journal (WSJ, ed. del 7 giugno), per una serie di buoni motivi, direi, a paragonare il centrista Macron a Ronald Reagan che successe a uno scolorito ed esangue Carter, presentandosi come un leader carismatico in grado di produrre un cambiamento radicale nella società americana dell’epoca. In fondo, non fu proprio De Gaulle a stravolgere il volto del potere presidenziale francese, con una riforma costituzionale che rendesse il ruolo della politica molto più coinvolgente per tutta la società francese? Macron, fin dai suoi esordi, sembra voler interpretare al meglio questi principi del gollismo, mostrandosi alla sua opinione pubblica determinato e fermo nelle decisioni da prendere, in modo da rievocare i fasti del passato e ridare dignità e prestigio al mai dimenticato passato eroico della Francia.

A seguito dei suoi recenti incontri con Trump, Putin e Merkel, Macron ha offerto ai francesi il volto di una presidenza che sa di avere un suo posto nel mondo come protagonista della politica internazionale, anche se la sua incisività in tal senso resta ancora tutta di dimostrare. Ora, qualora dovesse stravincere alle elezioni legislative di metà giugno, Macron sarà davvero il solo responsabile dei risultati che otterrà, per quanto riguarda l’attuazione delle riforme promesse in campagna elettorale ai suoi cittadini e all’Europa. E sono in molti ad attenderlo al varco, mentre tenterà di vincere le sfide della crescita economica e del rilancio dell’Unione europea. Sul primo versante, dovrà vedersela con gli interessi “forti” di sindacati, studenti, corporazioni professionali, ecologisti e quanto altro i quali, finora, sono stati in grado di bloccare sul nascere qualsiasi tipo di riforma strutturale nell’economia, nella formazione superiore e nel mercato del lavoro. Le cose, poi, sono ancora più complicate per quanto riguarda l’Europa, tenuto conto che occorre affrontare la Germania per entrare nel merito delle politiche dell’euro e di bilancio. Comunque, prima delle elezioni di settembre qualunque iniziativa francese in tal senso sarebbe fuori luogo e votata all’insuccesso, visto che in campagna elettorale nessuno vorrà perdere consensi proponendo una politica di “bail-in” del debito pubblico europeo a carico dei contribuenti tedeschi.

È preferibile, quindi, come suggerisce WSJ, che Macron utilizzi al meglio il periodo estivo per far passare le sue riforme del mercato del lavoro e della politica fiscale, in modo da presentarsi con le carte a posto ai futuri colloqui con Berlino. Il problema vero è se riuscirà a farlo senza dover reprimere con la forza le prevedibili proteste di piazza che, nel recente passato, hanno obbligato i suoi predecessori a imbarazzanti marce indietro. Ma anche dopo, quando finalmente sarà possibile affrontare con il futuro Cancelliere tedesco i nodi di un’Europa in panne, occorrerà innanzitutto farsi carico del problema della riformulazione delle alleanze esterne, quando: “Putin è ostile, Trump è bizzarro, l’Inghilterra è fuori dall’Europa ed Erdogan è sempre più distante dall’Occidente”. Tuttavia, forse anche per questo, si sta per presentare un’occasione storica unica per il rilancio dell’asse franco-tedesco, con una Germania molto più ricca della Francia ma assai meno dotata di lei per condurre una nuova politica internazionale di ampio respiro.

Aggiornato il 10 giugno 2017 alle ore 09:49