I lavori dell’Oslo Freedom Forum

L’Oslo Freedom Forum è un evento annuale globale in cui s’incontrano protagonisti delle campagne internazionali per i diritti umani, giornalisti, dissidenti ed esuli da Paesi sottoposti a regimi autoritari o dittatoriali, politici e imprenditori impegnati in questo campo. Pochi giorni fa si è svolta la IX edizione, alla quale dall’Italia ha partecipato Antonio Stango, attuale Presidente della LIDU – Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, fondatore con Paolo Ungari del Comitato Italiano Helsinki (che prende il nome dalla storica Conferenza su sicurezza e cooperazione in Europa conclusasi in quella città nel 1975) e membro del Consiglio Direttivo di Nessuno tocchi Caino. Con Stango tentiamo di approfondire l’importanza di tali lavori.

  • Può illustrarci la sua valutazione complessiva del Forum?

Facendo parte ormai da più di trent’anni della “human rights community” internazionale, conoscevo bene questa iniziativa, che è una delle più importanti al mondo per l’analisi, lo scambio di idee e di esperienze e l’organizzazione di campagne per la causa cui ho dedicato la mia vita. Ho anche assistito all’edizione del 2016, quando frequentavo Oslo come coordinatore del Congresso mondiale contro la pena di morte che vi abbiamo tenuto nel giugno scorso. L’ideatore del Forum, Thor Halvorssen, è una personalità di altissimo profilo nel campo dei diritti umani: venezuelano di origine norvegese, dotato di energia, decisione e capacità eccezionali, ha fondato e dirige diverse organizzazioni tra le quali la Human Rights Foundation, che ha sede a New York, e anima il Forum anche grazie a un’intensa rete di conoscenze dirette e di partenariati con alcuni dei principali attori della lotta per i diritti umani a livello mondiale.

Una delle parole chiave per comprendere il Freedom Forum è “changemakers”: persone in grado di contribuire effettivamente al cambiamento in Paesi che ne hanno un grande e urgente bisogno per “rendere il mondo un luogo più pacifico, prospero e libero” – tenendo presente che prosperità e pace senza libertà semplicemente non esistono.

  • Il tema di quest’anno era “Defending Democracy”.

Tutti i temi scelti annualmente dal Freedom Forum sono correlati. Quello del 2015 era “Vivere nella verità”: non certo una ‘Verità’ dogmatica, ma la semplice realtà dei fatti, per i quali si parla giustamente di rispetto del diritto alla conoscenza in contrapposizione alle menzogne, alla censura e alla sistematica disinformazione attuate da molti regimi. Nel 2016 il Forum è stato dedicato ai ‘catalizzatori’: persone che, per il loro straordinario e spesso coraggioso impegno individuale, costituiscono un motore del cambiamento e un esempio per molti altri. Proseguendo quindi un percorso che di anno in anno evidenzia il ruolo dell’individuo (soggetto fondamentale dei diritti umani universali), quest’anno ci si è focalizzati sull’aspetto più propriamente politico delle forme di governo, nella consapevolezza che la democrazia – che non è una panacea, ma un metodo – è tuttora quella che consente le maggiori possibilità di rispetto dei diritti umani. Si intende che ‘democrazia’ non consiste semplicemente in elezioni (come quelle che hanno portato al potere Hitler nella Germania del 1933 o che periodicamente sono convocate dagli ayatollah iraniani e da altri regimi per confermare la propria dittatura), ma deve includere pieno rispetto per le minoranze, libertà di associazione, di manifestazione e di espressione, e in generale tutto ciò che garantisce che chi è all’opposizione oggi possa pacificamente essere al governo domani.

Moderando uno dei numerosi dibattiti, il costituzionalista boliviano Javier El-Hage (che per la Human Rights Foundation dirige da New York con grande competenza e dinamismo il Centro per il Diritto e la Democrazia) ha mostrato il “Town square test” descritto da Natan Sharansky nel libro The Case for Democracy. The Power of Freedom to Overcome Tyranny and Terror (In difesa della democrazia. Il potere della libertà per vincere la tirannia e il terrore): «Se una persona non può passeggiare in mezzo alla piazza cittadina esprimendo le sue opinioni senza timore di essere arrestato, imprigionato o minacciato nella propria incolumità fisica, allora quella persona sta vivendo in una società del terrore, non in una società libera». Nella sua ragionevole semplicità, questo test – proposto non a caso da una personalità del dissenso sovietico, poi divenuto uno dei più noti politici in Israele – riassume uno dei problemi di fondo della mancanza di democrazia.

  • Come ha affrontato il Forum la problematica dell’integralismo islamico?

Ci sono stati diversi dibattiti su questo tema specifico. Molti hanno ricordato che non è la semplice religiosità islamica ad essere incompatibile con la democrazia, ma che lo sono le formule politiche ispirate da alcune interpretazioni dell’islam, in modo più o meno pretestuoso e in sostanza come modo di legittimazione di un potere tirannico. Su questo ho apprezzato molto gli interventi di Maryam Nayeb Yazdi, scrittrice e attivista per i diritti umani iraniana ora cittadina canadese, protagonista di diversi progetti per la denuncia degli abusi di quel regime e in particolare del suo ricorso sistematico all’incarcerazione, alla tortura e alle condanne a morte.

  • Fra le sessioni che hanno riscontrato più partecipazione vi è stata quella dedicata alla violazione dei diritti umani e democratici in Venezuela, con la partecipazione di Antonietta Ledezma, figlia del noto sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, da qualche anno agli arresti domiciliari nella sua abitazione. Cosa sta accadendo in Venezuela?

Il Venezuela del presidente, ormai di fatto golpista, Maduro è stato fra i Paesi dei quali autorevoli personalità del dissenso hanno analizzato le violazioni dei diritti politici e civili – così come la Corea del Nord, l’Iran, la Russia di Putin, la Cina, lo Zimbabwe di Mugabe o la Cuba dei Castro, che con Fidel e Raul sono al potere in quell’isola ininterrottamente da 57 anni. In Venezuela Chávez prima, Maduro dalla sua morte ad oggi hanno appunto esaltato il castrismo come modello ideologico, insieme alla pretesa di attuare una confusamente definita “rivoluzione bolivariana”. In realtà hanno smantellato progressivamente tutti i cardini dell’ordinamento democratico, con arresti degli oppositori, confische arbitrarie di beni privati e di intere aziende, rifiuto di riconoscere risultati elettorali e procedimenti costituzionali, mentre folli politiche economiche hanno condotto all’iperinflazione, alla catastrofe monetaria e sull’orlo della fame un Paese grande produttore di petrolio, che avrebbe tutte le risorse naturali per garantire ai cittadini un livello soddisfacente di benessere. Negli ultimi mesi la repressione violentissima delle manifestazioni di protesta ormai continue ha causato decine di vittime innocenti, oltre a migliaia di arresti arbitrari. Di fronte a tutto questo, è particolarmente avvilente che gli slogan propagandistici e la disinformazione del regime di Maduro trovino ascolto ed eco da parte di alcuni improvvisati politici italiani, che evidentemente non hanno alcuna idea di quali siano i parametri per definire uno Stato democratico e di diritto.

  • In occasione dei lavori del Forum, si è svolto un seminario presso l’Istituto Italiano di Cultura di Oslo dedicato ai diritti umani, intitolato: “Hominum causa (omne) ius constitutum est”. Anche lei vi ha partecipato come relatore: può illustrarci e descriverci come si è svolto il dibattito?

L’aforisma scelto come titolo del seminario, proposto dall’ambasciatore d’Italia Giorgio Novello del quale condivido l’amore per la lingua latina, indica che il diritto è – o dovrebbe essere – stabilito per il bene degli uomini. Dopo l’introduzione dell’ambasciatore e il saluto del direttore dell’Istituto Matteo Fazzi, nella mia relazione ho trattato il ruolo storico dell’Italia per il diritto; un ruolo che non soltanto ha profonde radici nella Roma antica, ma che – dopo i secoli del Medio Evo e dell’Inquisizione – con il fiorire del pensiero giuridico illuminista ha prodotto fra l’altro l’analisi tuttora valida di Cesare Beccaria contro la pena di morte e la prima abolizione di questa in epoca moderna nel Granducato di Toscana nel 1786. L’abolizione nello Stato unitario fu poi sancita con il Codice Zanardelli del 1889, all’avanguardia nell’Europa del tempo. Si intende che il cammino dell’Italia in questo campo ha sofferto gravi contraddizioni e involuzioni drammatiche, la peggiore delle quali è stato il fascismo – che oltre tutto reintrodusse anche la pena di morte (poi abolita definitivamente dalla Costituzione repubblicana). Tuttavia, negli ultimi decennî, mentre permangono problemi evidenziati dalle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo su materie come l’eccessiva durata dei processi e il sovraffollamento carcerario, il nostro Paese si è distinto positivamente per avere sostenuto con forza le iniziative che hanno portato allo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale e alle Risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU per una moratoria universale delle esecuzioni.

Fra gli altri interventi, ho ascoltato con piacere in particolare quello di Ola Elvestuen, membro del Parlamento norvegese e vicepresidente del Partito Liberale “Venstre”.

  • Il Freedom Forum si svolgerà sempre ad Oslo?

Oslo rimarrà la sede principale del Forum, che è ormai un appuntamento fisso della società civile internazionale, ma considerato molto importante anche dalle istituzioni norvegesi: tanto che nella parte ufficiale dell’edizione di quest’anno il primo intervento è stato quello del primo ministro norvegese, signora Erna Solberg. Tuttavia, il Freedom Forum ha svolto eventi di grande rilievo a San Francisco e in altre città nordamericane ed è mia intenzione contribuire all’affermazione della sua formula anche in Italia.

Aggiornato il 10 giugno 2017 alle ore 09:58