I Paesi arabi isolano il Qatar, ma l’Europa lo corteggia

Con una mossa eclatante, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Yemen hanno rotto ogni legame con il Qatar. Non solo hanno espulso l’ambasciatore, ma hanno anche interrotto ogni collegamento aereo, marittimo e (nel caso dei sauditi) anche terrestre con un paese del Golfo ormai sotto embargo totale. Rotte le relazioni economiche. Espulsi i cittadini del Qatar. Fra monarchie e Stati sunniti si è venuta a creare un’inedita situazione di quasi-guerra.

La notizia può cogliere di sorpresa molti osservatori, anche attenti, della scena mediorientale. Solitamente si fa di tutti i sunniti un fascio. Per “monarchie sunnite” o “Stati arabi sunniti” si riassume il concetto di tutti i Paesi della costa occidentale del Golfo Persico, senza far troppe distinzioni. Eppure, almeno dal 2014 in poi, nella regione è cresciuta una forte tensione fra Arabia Saudita e Qatar che coinvolge anche altri paesi. Si era soliti pensare al fronte sunnita come ad un fronte compatto soprattutto perché tutti questi regimi sono stati dalla parte degli insorti nella primavera araba del 2011. Il Qatar, in particolar modo, si è distinto per la promozione ideologica delle rivoluzioni contro i vecchi regimi laici, se non altro perché è la sede di Al Jazeera, la maggior cassa di risonanza del mondo islamico sunnita, anche di quello radicale legato alla Fratellanza Musulmana. Il Qatar ha preso parte alla Guerra Civile in Libia (quella del 2011), mandando aerei e forze speciali. Nella Guerra Civile in Siria ha inviato aiuti finanziari e materiali alle formazioni dei ribelli, contribuendo alla crescita delle unità più radicali sunnite. E fino a quel punto, il Qatar agiva d’amore e d’accordo con i sauditi e con tutti gli altri attori regionali, almeno all’apparenza. Quando sia avvenuta la rottura, di preciso, è difficile ricostruirlo. Nessuno degli Stati coinvolti è democratico, nessuno diffonde volentieri le notizie sulla propria politica estera.

Il 2014 registra tanti eventi che videro Arabia Saudita (e alleati) e Qatar su fronti opposti. Egitto: il generale al-Sisi prende il potere dopo la deposizione (a furor di popolo) del presidente islamista Morsi. I Fratelli Musulmani, di cui Morsi era un’espressione politica, vengono messi al bando in Egitto e subito dopo anche in Arabia Saudita, che inizia a temerne la carica eversiva. Il Qatar, al contrario, continua ad appoggiarli. Libia: dopo aver perso le elezioni, i partiti islamisti, vicini alla Fratellanza Musulmana, prendono il potere con un colpo di Stato a Tripoli. La maggioranza del Congresso, trasferitasi a Tobruk nomina il generale Haftar capo delle forze armate e appoggia la sua campagna militare per la riconquista del paese. La guerra civile non è ancora finita adesso. Il Qatar appoggia gli islamisti, l’Egitto e l’Arabia Saudita il fronte di Haftar. Yemen: scoppia la guerra fra gli Houti, potente milizia sciita appoggiata dall’Iran e il governo insediatosi dopo la deposizione pacifica del dittatore Saleh nel 2012. L’Arabia Saudita, per proteggere il confine meridionale da una forza sciita palesemente ostile, interviene militarmente nel conflitto al fianco del governo. Il Qatar, ufficialmente neutrale, viene accusato di appoggiare gli Houti e l’Iran, con cui mantiene forti legami commerciali. Iraq: con l’offensiva dell’estate 2014, l’Isis conquista Mosul e proclama il Califfato in Iraq e Siria. L’Arabia Saudita aderisce alla coalizione (promossa dagli Usa) contro il nuovo regime totalitario, temendo che l’Isis possa esportare la sua rivoluzione anche nel suo territorio. Il Qatar è tuttora accusato di appoggiare indirettamente lo Stato Islamico, convogliandovi cospicui finanziamenti.

Dal 2014, dunque, è andata avanti sotterraneamente questa sorta di guerra fredda fra sunniti, che si è sovrapposta a quella calda fra sciiti e sunniti e per questo è rimasta per lo più inosservata. Fino a ieri, quando è scoppiata in modo clamoroso, con l’isolamento del Qatar. Cosa abbia indotto a rendere palese la rottura è ancora difficile dirlo. Ufficialmente, il Bahrein (il primo a rompere ogni legame) e l’Arabia Saudita hanno denunciato l’appoggio del Qatar a reti terroristiche sciite sulla costa saudita del Golfo e nel vicino Bahrein. Quest’ultimo aveva represso un’insurrezione sciita nel 2011, nel corso delle primavere arabe. Allora lo schieramento del Qatar non era ancora chiaro, ma almeno Al Jazeera mostrava simpatia nei confronti degli insorti. Pur essendo il Qatar uno Stato sunnita, gli sciiti sono stati strumentali in più di un’occasione per portare avanti i suoi interessi. Se non altro nel ruolo di “nemico del mio nemico”. Non deve sfuggire neppure che la rottura avviene a sole due settimane dalla visita di Donald Trump in Medio Oriente e dal suo discorso a Riad. Il presidente americano ha invitato i governi locali a far piazza pulita dell’estremismo islamico. L’isolamento del Qatar avviene anche per questo: il paese è accusato esplicitamente dai sauditi di sostenere l’Isis.

Questa situazione non è facile per l’Europa, che è alle prese con il Qatar molto più profondamente di quanto si creda. L’emirato possiede grandi pacchetti azionari del Credit Suisse e della Deutsche Bank. Parlando solo dell’Italia, oltre ad essersi candidato per il salvataggio di Mps (per poi sfilarsi all’ultimo), il Qatar è presente con notevoli investimenti immobiliari. A Milano è proprietario, col suo fondo di investimenti, dei grattacieli di Porta Nuova e dell’hotel Gallia. A Firenze il Palazzo della Gherardesca. A Roma il Westin Excelsior e il Grand Hotel St. Regis, a Venezia Palazzo Gritti. Possiede infrastrutture turistiche e una clinica sulla Costa Smeralda, in Sardegna. Controlla il 49 per cento della compagnia aerea Meridiana. Questi acquisti con soldi pubblici dell’Autorità per gli Investimenti del Qatar, non sono privi di conseguenze politiche. In Italia, in Europa in genere, i Fratelli Musulmani sono presenti in una galassia di associazioni culturali e politiche. Sono, pur non apparendo mai ufficialmente, i principali interlocutori dei governi europei. Il Qatar era il primo nella lista dei candidati finanziatori della moschea progettata a Milano. E in Sicilia è presente con una sua rete di centri culturali islamici. Se gli altri paesi arabi si sono risvegliati vedendo il Qatar come il principale sponsor del terrorismo, noi dormiamo ancora sonni profondi, felici del fiume di denaro che arriva da Doha.

Aggiornato il 06 giugno 2017 alle ore 13:08