Prima grana per Macron, inchiesta sul ministro Ferrand

La prima spina per Emmanuel Macron si chiama Richard Ferrand, segretario di En Marche! e ministro della Coesione territoriale. Finora su di lui si addensavano voci di familismo e sospetti di conflitti di interesse. Da oggi c'è un'inchiesta per appurare la verità. Ma il presidente - a 10 giorni dalle legislative - lo difende a spada tratta. Il governo ribadisce: dimissioni solo se sarà indagato. Intanto, accelerazione al programma con la presentazione del primo grande cantiere annunciato in campagna elettorale: la "legge sulla moralizzazione della politica", un complesso di norme per evitare tracolli di immagine come nel caso del "Penelopegate" che ha travolto il candidato della destra Francois Fillon e per garantire la trasparenza dei finanziamenti pubblici.

Il momento è delicato, per il futuro del suo mandato Macron sa che deve conquistare la maggioranza assoluta dell'Assemblée Nationale. I sondaggi sembrano garantirgliela, con un'opinione pubblica che al momento non appare minimamente influenzata dal caso Ferrand. Sul quale, peraltro, non esistono finora ipotesi di reato, anche se qualcosa di nuovo deve aver convinto Eric Mathais, il procuratore di Brest in Bretagna, a cambiare idea rispetto a qualche giorno fa e ad avviare un'indagine preliminare sulle "notizie di stampa" che circolano su Ferrand da una settimana. Oltre all'affare immobiliare di cui ha beneficiato la sua compagna, il deputato Ferrand è stato tirato in ballo per diversi conflitti d'interesse che coinvolgono la mutua complementare bretone da lui stesso presieduta in passato.

"Tutto quello che ho fatto nella mia vita professionale è legale, pubblico, trasparente", è la difesa di Ferrand. Per qualche imbarazzo o solo per questioni di agenda, era parso slittare, nei giorni scorsi, il varo della riforma costituzionale che dovrebbe garantire la "moralizzazione della politica". Il ministro della Giustizia Francois Bayrou ha invece tagliato corto e spiegato oggi nei dettagli il dispositivo che Macron aveva promesso di mettere a punto durante una campagna elettorale per la presidenza macchiata dalle accuse di corruzione.

Nel mirino, lo status del deputato, ancorato ad antichi privilegi che hanno consentito l'esplosione del Penelopegate, con l'intera famiglia Fillon stipendiata dalle casse dello stato. Nell'intento di "rafforzare la fiducia nella vita democratica", sparirà innanzitutto la cosiddetta "riserva parlamentare", il "tesoretto" di circa 130.000 euro in media che ogni deputato ha a disposizione per finanziare imprecisati "progetti locali". Poi, tutte le spese dovranno essere documentate con ricevute e giustificate. Divieto sarà poi ovviamente fatto a qualunque parlamentare di stipendiare un membro della propria famiglia. Mentre se un deputato vorrà impiegare un parente di un collega di aula, dovrà annunciarlo nella sua periodica "dichiarazione di interessi". Partirà poi una "banca della democrazia" che sarà la piattaforma di finanziamento - trasparente e lecito - dei partiti. Che in Francia sono costretti a farsi prestare denaro dalle banche. E che - come nel caso di Marine Le Pen, presidente del Front National - possono vederselo rifiutare, con la conseguenza di dover ricorrere a banche straniere (russe nel suo caso). Fra le altre misure in agenda, l'abolizione del "tribunale dei ministri" (i membri del governo saranno giudicati da magistrati normali della corte d'appello e non da una corte speciale) e la fine dell'ultimo privilegio dei presidenti della Repubblica, l'accesso al Consiglio costituzionale dopo il mandato all'Eliseo, con garanzia di incarico "a vita".

Aggiornato il 02 giugno 2017 alle ore 20:24