Domenica di sangue in Egitto. Sangue di cristiani di rito copto ortodosso che costituiscono una minoranza colta e coesa del Paese nordafricano a grande maggioranza musulmana sunnita. La cronaca riferisce di due attentati in sequenza: il primo nella chiesa di San Giorgio nella città di Tanta, nel delta del Nilo. Il secondo, a pochi minuti di distanza dal primo, nella chiesa di San Marco ad Alessandria. Il bilancio provvisorio è di 47 vittime e 126 feriti. Entrambi gli attentati sono stati compiuti da terroristi che si sono fatti esplodere nel cuore dei due luoghi sacri durante le celebrazioni dei riti di preparazione alla Pasqua.

L’azione suicida, di là dal seminare morte e devastazione tra i fedeli, aveva un obiettivo molto significativo. Nella chiesa di Alessandria, considerata la capitale della Chiesa copta, pochi minuti prima dell’esplosione aveva lasciato l’altare il patriarca Tawadros II. Se l’attentatore fosse riuscito a raggiungere la navata centrale prima dell’uscita del “papa” copto, sarebbe stato decapitato il vertice di una comunità religiosa che nel Paese conta otto milioni di seguaci. Le autorità del Cairo hanno reagito all’attacco terroristico elevando le misure di sicurezza già in atto nel Paese, che tuttavia non sono servite a prevenire la strage. Non è sfuggito che il colpo messo a segno dagli integralisti islamici avesse un portato politico connesso all’imminente visita in Egitto del pontefice romano Francesco.

Pur nella tristezza del momento per le vittime innocenti dell’attacco dovremmo sentirci appagati dalla solidarietà espressa delle autorità islamiche, ma non è così. Sebbene siano apprezzabili le parole di condanna pronunciate da Al-Tayyeb, voce autorevole del mondo sunnita e guida dell’università di Al-Azhar al Cairo che ha parlato di “... attacco vile che ha colpito ancora una volta vite innocenti. Un crimine contro tutti gli egiziani”, non quadra il fatto che questa corsa alla solidarietà sia sempre postuma. La verità è che da anni le comunità cristiane dei Paesi a maggioranza musulmana sono oggetto di sistematica violenza. Le minoranze cristiane dell’Asia, del Vicino e Medio Oriente e di grandi aree dell’Africa divengono sempre più minoranze per effetto dello sterminio realizzato col fragore delle bombe jihadiste. Vi è una perversa algebra della fede che agisce addizionando in Occidente e sottraendo nei territori dell’Islam.

Come si evince dall’accurata analisi sviluppata da Giulio Meotti, mentre nelle società occidentali l’elemento coesivo della fede religiosa tende ad attenuarsi e la strategia di islamizzazione del Vecchio Continente procede indisturbata grazie anche ai pericolosi cedimenti teorizzati dai multiculturalisti di casa nostra, i quali ritengono normale perfino inglobare nel diritto autoctono elementi giuridici della legge islamica della Shari’a, dall’altra parte del mondo non si riscontra uguale apertura alla tolleranza religiosa. Servono a poco gli attestati di solidarietà per i morti se non si agisce in tempo per impedire le stragi.

Ora, il Pontefice sta per recarsi in Egitto per un incontro da molti osservatori definito storico con l’Imam Al-Tayyeb. Visto che c’è non sarebbe male se chiedesse al suo interlocutore di fare meno chiacchiere e d’impegnarsi concretamente a modificare i dettami del credo musulmano, almeno nella parte che riguarda l’articolo di fede della conquista islamica del mondo, l’annientamento degli infedeli che non si convertono ad Allah, e la negazione dei diritti universali dell’uomo (e della donna) quali fondamenti della pacifica convivenza delle diverse civiltà. Fin quando non vi sarà una definitiva inversione di marcia delle autorità musulmane con l’accettazione del diritto all’esistenza e alla pratica delle altre fedi religiose e delle altre culture, le uniche opzioni per combattere l’islamismo dipenderanno sempre e comunque dalla forza degli eserciti. Com’è scritto nella Bibbia, anche se in molti l’hanno dimenticato.

Aggiornato il 02 maggio 2017 alle ore 14:31