La Siria e la fretta di Donald Trump

Piccola indicazione di metodo: non ci interessa fare della manfrina filo Vladimir Putin, dell’antiamerikanismo da frikkettoni sessantottini, della dietrologia da giornaletto di nicchia o una facile teoria della cospirazione da pentastellati. Solo che non crediamo alle scie chimiche ma nemmeno alla Befana o al pappone che i media ci vogliono imporre con annesse verità precostituite. Partiamo dalla fine: gli Stati Uniti hanno bombardato la Siria di Bashar al-Assad lanciando da due navi di stanza nel Mediterraneo orientale cinquantanove missili Tomahawk contro la base siriana di Al Shayrat, luogo dal quale, secondo l’intelligence Usa, sarebbero partiti i caccia carichi di armi chimiche che martedì hanno colpito la città di Khan Shaykhun, a settanta chilometri a sud di Idlib, uccidendo almeno cento persone. Della strage si conoscono mille particolari, tra cui le foto strazianti dei piccoli civili colpiti, ma nessuna certezza è stata fornita sulla reale colpevolezza di Assad e dell’alleato russo come se si volesse essere stranamente prodighi di contenuti sulla strage e parsimoniosi di notizie sulle modalità di attacco. Strano vero?

Così come è stata sospetta la scarsa cautela con cui il mondo occidentale ha condannato Assad definendolo sbrigativamente il colpevole del vile atto senza nemmeno prendere un briciolo di tempo per capire, per approfondire, per verificare. E strane anche le indiscrezioni che giungono da Arabia Saudita e Qatar circa un vortiginoso movimento di denaro che starebbe finendo nelle casse dei ribelli (leggi Isis) come se qualcuno, magari lo stesso Occidente, stesse inspiegabilmente rifinanziando - e quindi riarmando - l’Isis. Non meno sorprendenti le immagini dei soccorritori che prestano aiuto ai contaminati con il Sarin a mani nude. Chi conosce le armi chimiche sa bene che il contatto con queste armi di distruzione di massa provoca in pochi minuti degli spasmi terribili non lasciando scampo ai soccorritori ma anche ai giornalisti che si prendono la briga di filmare a così poca distanza da un posto che, verosimilmente, è stato appena bombardato e quindi invaso dal veleno. Queste sono solo delle illazioni, della dietrologia, dei dubbi che ci siamo sentiti di esprimere ad alta voce.

Resta il fatto che degli innocenti sono stati barbaramente uccisi ma l’unica preoccupazione dei governanti è quella di trovare un colpevole da bombardare più per fini domestici che per amore di giustizia. E che si sia individuato ex ante un capro espiatorio lo si evince da mille motivi tra cui spicca il movente che Assad non aveva, visto che era in procinto di vincere la guerra contro i suoi oppositori con la benedizione delle Istituzioni internazionali. Lo si arguisce anche dal goffo uso di armi chimiche le quali non sono indicate (se paragonate ad altre armi molto più pulite ed efficaci) per dare il colpo di grazia alle milizie anti Assad e per giunta hanno il brutto effetto collaterale di lasciare tracce attirando i media ed i tribunali internazionali. Lo si capisce anche dalla totale assenza di uno straccio di prova che Assad abbia arsenali di sostanze non convenzionali cui si contrappone la prova inoppugnabile che i ribelli jihadisti dispongano di armi chimiche, visto che si ha notizia che dei depositi sono stati colpiti proprio l’altro giorno dalle truppe siriane (ma questo l’informazione ha omesso di sottolinearlo perché il colpevole è Assad). E chi ha venduto le armi chimiche ai terroristi asserragliati ad Idlib? Segreto di pulcinella.

Assad probabilmente è un macellaio ma ci ricorda troppo la teoria delle pistole fumanti, quella nefandezza che portò all’uccisione di Saddam Hussein e che procurò tantissimi imbarazzi a Tony Blair e a George W. Bush, i quali falsificarono le prove che avrebbero dovuto dimostrare l’esistenza di arsenali di antrace in Iraq. Ed in questa nostra congettura siamo confortati dall’ex senatore repubblicano americano Ron Paul, il quale proprio in queste ore ha dichiarato che l’attacco con gas nervino contro i civili in Siria è stato un “false flag” e che si tratterebbe di un atto progettato per essere attribuito a Bashar al-Assad ed indurre in errore Donald Trump, il quale aveva precedentemente affermato che la politica degli Stati Uniti in Siria sarebbe stata focalizzata sulla lotta al gruppo terroristico Isis, anche a costo di lasciare Assad al potere.

Secondo Ron Paul, l’attacco sarebbe una sorta di operazione segreta ideata - probabilmente da ambienti americani - per costringere Trump a cambiare la sua politica pro Assad. E che Trump abbia fatto finta di abboccare non è un’ipotesi totalmente improbabile visto che, sin dal suo insediamento, ha sempre avuto il grande problema di essere inviso all’apparato burocratico americano, di essere osteggiato dagli apparati di sicurezza e di essere sgradito all’America che conta. Che questo attacco organizzato in gran fretta sia finalizzato a guadagnarsi l’appoggio dell’establishment statunitense ed i plausi di quel deep state che chiede da tempo un gesto contro Assad ed un atto di ostilità verso Putin, è ipotesi tanto drammatica quanto plausibile. Ma fa parte di quella realpolitik per la quale è inutile scandalizzarsi. A meno che non si creda ancora alla favoletta dell’Occidente che corre al capezzale dei poveri fanciulli e che non si muove solo per interessi petroliferi o rapporti di forza internazionali.

Aggiornato il 09 maggio 2017 alle ore 11:26