Cosa nasconde  l’attentato in Russia

L’attentatore della metropolitana di San Pietroburgo ha un nome: Akbarzhon Jalilov, nato a Osh, in Kirghizistan, nel 1995.

Secondo fonti della polizia russa, il giovane avrebbe agito da solo portando a compimento la missione suicida. Il massacro dei 14 civili morti e delle decine di feriti di ieri l’altro sulla linea 2 blu del metrò che da Kupčino arriva al terminale di Parnas transitando per la celebre Prospettiva Nevsky, è dunque ascrivibile al terrorismo islamico.

Questa notizia apre scenari geopolitici particolarmente inquietanti. Non è infatti irrilevante la provenienza dell’attentatore. Il giovane autore della strage proviene dal Kirghizistan, Paese collocato nel cuore dell’Asia centrale in una posizione strategica di prima grandezza, a confine tra la Cina e il blocco delle Repubbliche ex-sovietiche, non lontano dall’Afghanistan. La popolazione, benché divisa in una molteplicità di etnie, è in prevalenza di religione musulmana sunnita. E proprio l’elemento religioso ha funzionato da collante in un contesto sociale segnato da una povertà diffusa, in una nazione priva di risorse energetiche significative e in generale sprovvista di ricchezze naturali.

Dopo il crollo dell’impero sovietico, nel volgere di due decenni il processo di islamizzazione capillare ha costituito un polo attrattivo per le frustrazioni di una popolazione di 6 milioni di individui di cui ben 3 milioni 600mila sono censiti come maschi musulmani adulti. Si conta, secondo i dati forniti da Valery Sinko, coordinatore del Centro Studi Eurasiatici “Lev Gumilev” e pubblicati dal sito web “Planet360”, che sono presenti nel Paese 2700 moschee, di cui oltre 500 edificate negli ultimi cinque anni. Non vi è dubbio che l’islamizzazione accelerata, interagendo con la crisi economica, abbia funzionato da terreno di coltura di un radicalismo politico sul quale ha fatto presa il messaggio jihadista del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

Dopo l’attentato di Istanbul di Capodanno, il cui responsabile è stato l’uzbeko Abdulkadir Masharipov che avrebbe agito con la copertura di una rete di kirghisi integrati nelle principali città turche e dopo la scoperta da parte dei servizi segreti iracheni che la difesa della città-simbolo dell’Isis, Mosul, fosse stata affidata a un ex ufficiale dei reparti speciali dell’esercito del Tagikistan, non ci vuole molto a capire che oggi la minaccia più grave proviene dalle notevoli possibilità di reclutamento che il califfato ha tra le masse scontente del gruppo di repubbliche ex-sovietiche. Con una pericolosa aggravante: a differenza degli autoctoni mediorientali, i miliziani provenienti dall’Est hanno capacità di combattimento di gran lunga superiori ai sodali arabi.

Se questo scenario dovesse essere confermato, per i Paesi dell’Ovest s’imporrebbe un rapido cambio di strategia che comporti l’abbandono della politica di delegittimazione del leader russo, Vladimir Putin. Indebolire il principale alleato nella lotta al terrorismo islamico non serve a nulla. Al contrario, rafforza il nemico comune. Più che mai opportuna è stata la telefonata di condoglianze che Donald Trump si è precipitato a fare al suo omologo moscovita. Ciò che duole, per contrasto, è l’assordante silenzio delle cancellerie europee che mostrano, ancora una volta, la propria incapacità a stare al passo con le dinamiche in costante evoluzione dello scacchiere globale. I morti di San Pietroburgo pesano come e quanto i morti di Parigi, di Londra, di Bruxelles e di Berlino.

Se non si accetta questa elementare verità si rischia di aprire una falla nella quale potranno incunearsi tutti i nemici della nostra civiltà che è la medesima della Russia odierna, totalmente riscattata dalla lunga notte del totalitarismo comunista. Ciò che oggi occorre è di combattere una giusta causa comune e non di farsi la guerra evocando gli spauracchi della Guerra Fredda che hanno fatto il loro tempo. Lo ha compreso la maggioranza degli americani che anche per questo ha scelto Donald Trump come presidente e non la signora Hillary Clinton. Quanto ancora ci vorrà prima che lo comprendano i leader europei?

Aggiornato il 09 maggio 2017 alle ore 11:56