Brexit: l’Unione   nella curva della storia

Il cammino dell’Europa affronta una curva della storia, un momento decisivo dal quale dipenderà il suo futuro e quello delle generazioni dei giovani cittadini europei. È una “prova del fuoco” che potrà forgiare la nascita di un’Europa nuova o, viceversa, portare l’Unione a una progressiva e veloce decadenza, forse a un’implosione senza ritorno. Sicuramente niente potrà mai più essere come prima.

Dopo decenni di allargamenti, di crescita continua del numero dei Paesi membri, di sguardi rivolti al futuro, per la prima volta l’Unione europea “perde i pezzi”, per la prima volta un Paese non chiede di entrare, ma chiede di uscire. E non è un Paese qualsiasi. Con tutte le sue contraddizioni, le sue gelosie nazionali, le sue, a volte irritanti, esigenze di autonomia, la Gran Bretagna è stata uno dei grandi protagonisti della Storia comunitaria, uno dei Paesi ispiratori di quei principi e valori che sono alla base della costruzione europea. La sua scelta di abbandonare è il sintomo più forte ed evidente della grave malattia che affligge l’Europa da molti anni. È una malattia fatta di perdita di coraggio, di incapacità di avere un’idea comune del futuro, della mancanza di leadership e di visione, della mancanza della volontà di costruire insieme politiche condivise di fronte alle grandi sfide di inizio millennio. Queste sfide sono davanti ai nostri occhi ogni giorno: una crisi economica interminabile, il terrorismo di ispirazione islamica che nasce anche nelle periferie abbandonate e isolate delle nostre metropoli, le nuove migrazioni di milioni di bambini, donne e uomini che fuggono dalle guerre e dalle tragedie che si sviluppano ai nostri confini, le diseguaglianze economiche e le ingiustizie sociali crescenti di una globalizzazione gestita molto male, l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump con un rivolgimento totale delle politiche americane degli ultimi decenni, la controversa politica portata avanti da Vladimir Putin.

Le risposte dell’Ue a tutto questo sono state deboli e insufficienti, spesso incomprensibili per i cittadini europei che, sempre più, rifiutano questa Europa e si rifugiano nei movimenti e nei partiti che l’Europa e l’Euro vogliono combattere. L’addio di Londra, che si consumerà presumibilmente in un negoziato duro e spietato, segna un tornante cupo e difficile nella storia europea. Ma, paradossalmente, dal fondo in cui è precipitata, l’Europa ha una possibilità importante di risalire se i leader europei sapranno comprendere i segnali che la Storia sta lanciando con chiarezza. Quando, se non ora? Il momento è adesso perché mai l’Europa è stata così sola di fronte alle sfide globali. Le alleanze con gli Usa e la Russia sono difficili e complesse anche se auspicabili.

I 27, orfani di Londra, dovranno contare solo su stessi. Non sarà facile perché le divisioni interne continuano a essere enormi. Il recente summit di Roma lascia però spazio a qualche timida speranza. L’Unione europea ha fatto un esercizio di recupero della memoria importante e ha segnato la strada, quella di un’Ue a più velocità con gruppi di Paesi pionieri che potranno sviluppare singole iniziative senza l’irrealizzabile esigenza di procedere tutti insieme, ma lasciando sempre la porta aperta a chi vorrà partecipare. Questo è l’unico futuro possibile per salvare l’Ue. Ma ci vorrà tutto quello che è mancato in questi anni: coraggio, forza, determinazione, volontà politica. “È un momento storico, non si torna indietro”, ha detto ieri alla Camera dei Comuni la premier britannica Theresa May. Almeno su questo, non si può che essere d’accordo con lei.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:01