Buon compleanno, Unione europea!

Il 25 marzo del 1957, i leader di sei nazioni – Belgio, Germania Ovest, Francia, Italia, Lussemburgo e Olanda – si riunirono a Roma e siglarono i due Trattati che diedero vita alla Comunità Economica Europea (Cee) ed alla Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom). Nel 1993, la Cee diventò parte di quella che è oggi l’Unione europea (Ue), che dai tempi del Trattato di Roma conta oggi ventotto Paesi membri. Sei anni prima, nel 1951, quelle stesse sei nazioni formavano la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), il primo passo verso l’interdipendenza.

Nel sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, voglio festeggiare assieme all’Europa. Immaginare la strada percorsa dal Vecchio Continente dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale – e i conflitti che la precedettero – vuol dire potersi accorgere delle infinite possibilità della Storia. Questi risultati, che neanche a dirlo erano sino ad allora inimmaginabili, non sono stati ottenuti per caso. Sono emersi dalla visione di chi scelse di guardare oltre i piccoli confini del momento, di osservare il lontano orizzonte, determinati a voler scrivere un nuovo capitolo della Storia dell’Europa, nonostante gli innumerevoli ostacoli sulla strada, e sono stati facilitati da un pragmatismo che ha posto l’accento su un approccio graduale, scegliendo di costruire l’Europa mattone su mattone.

Abbiamo un debito incalcolabile presso coloro che posero le fondamenta di quello che è certamente il più ambizioso e riuscito progetto di pace della Storia moderna. Winston Churchill era uno di loro. Nel leggendario discorso del 1946 a Zurigo, Churchill parlò della necessità di “ricreare la famiglia europea”, e di fare in modo che essa potesse “dimorare in pace, sicurezza e libertà”. “Il primo passo - disse - deve essere una partnership tra Francia e Germania”; l’obiettivo a lungo termine, gli “Stati Uniti d’Europa”. Qualche anno dopo, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman, traendo ispirazione dal suo eccezionale viceministro Jean Monnet, dichiarò: “L’avvicinamento delle nazioni d’Europa richiede che venga meno l’antica contrapposizione tra Francia e Germania. Qualunque azione da intraprendere deve riguardare prima di tutto questi due Paesi”. Per le generazioni più giovani, forse questo sessantesimo anniversario suscita poco più di uno sbadiglio, un sospiro, o addirittura un “embè”? Ma il fatto è che si tratta, semplicemente, di un evento importantissimo.

Un continente che è stato devastato da una guerra dopo l’altra, la cui terra è stata intrisa del sangue di milioni, di decine, di centinaia di milioni di persone, morte per le teorie della razza, per dispute di religione, per pretese territoriali, per la megalomania dei leader, per brame economiche, è ora un continente che non è più angosciato dal terrore di nuove violenze nei propri confini. L’idea di una guerra tra Francia e Germania, o tra altri Paesi dell’Unione, oggi è assurda. Sono questi i grandi risultati ottenuti dalla Ue: la pace, l’armonia, la coesistenza dei Paesi membri basata sui pilastri comuni dell’impegno per i valori democratici, per il diritto, per il rispetto per la dignità umana; per non parlare della rapida crescita economica che ha avuto luogo in vari Paesi dell’Unione proprio a causa dell’adesione.

Ancora non riesco a crederci, quando passo il confine tra Francia e Germania, che non ci siano doganieri a controllarmi il passaporto; o quando tengo tra le mani un libro di Storia, edito da una commissione Franco-Tedesca; o quando vedo che anche i tre Paesi del Baltico sono ora membri a pieno diritto della Ue, quando meno di trent’anni fa erano sotto l’occupazione sovietica e sognavano ancora la libertà; o quando penso alla Grecia, alla Spagna e al Portogallo che nei primi anni Settanta erano sotto il dominio di regimi fascisti e che sono ora società democratiche e nazioni dell’Unione. Mi sento profondamente eurofilo e transatlanticista; mia moglie e i miei tre figli sono cittadini europei, e so bene che l’Europa di oggi non è tutta rose e fiori. Dio solo sa che all’Europa non mancano certo le sfide: dalle tre “I” – Immigrazione, Integrazione, Identità – alla stagnazione economica in Grecia, dal fragile sistema bancario italiano, alla disoccupazione giovanile che in alcuni Paesi sorpassa il cinquanta per cento; dal disincanto nei confronti della centralizzazione del potere in una Bruxelles che appare indifferente, ai problemi della sicurezza interna, come abbiamo visto di recente in Belgio, Danimarca, Francia, Germania e nel Regno Unito; dai venti del populismo e dell’estremismo al terremoto di Brexit del giugno scorso; e dagli intensi dibattiti sui gradi di sovranità nazionale contro la post-sovranità, alle ingerenze russe che hanno lo scopo di dividere e minare l’unità europea.

Mentre la Ue cammina su campi minati, pondera cambiamenti di rotta e, più generalmente, traccia il suo percorso futuro, questo anniversario ci fornisce l’opportunità di fare il bilancio di quanta strada abbia percorso l’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale, e di ricordare ai cittadini europei, e specialmente ai più giovani, che l’Unione europea è molto di più della standardizzazione delle lampadine o delle politiche agricole. La Ue avrà tempo per ulteriori dibattiti e introspezione, ma almeno per qualche giorno dovrebbe dedicarsi alle celebrazioni e alle congratulazioni. Grazie a un piccolo numero di leader visionari, l’Europa ha dimostrato a se stessa e al mondo cosa è possibile ottenere con l’audacia dei sogni e con la volontà di riuscire. Speriamo che un giorno anche il Medio Oriente impari la lezione ed esca dal caos.

Dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico, buon compleanno Unione europea!

(*) Direttore esecutivo dell’American Jewish Committee

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:10